Trump, ‘i palestinesi di Gaza? Trasferiamoli e facciamoci un resort’

L'incredibile piano all'incontro con Netanyahu. Netta contrarietà della comunità internazionale.

di Mohamed Ben Abdallah –

Se considerare il Canada un governatorato Usa, annettere la Groenlandia e riprendersi il Canale di Panama potevano apparire come sproloqui, l’idea di Donald Trump di deportare oltre due milioni di abitanti di Gaza dalla loro terra appare come una minaccia concreta. Incontrando a Washington il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, ricercato per genocidio dalla Corte penale internazionale, il capo della Casa Bianca ha definito la Striscia un “simbolo di morte e distruzione”, rendendosi disponibile a occuparla manu militari e a trasferire, non è ancora chiaro dove ma ci dovranno pensare sauditi e giordani, i palestinesi che abitano lì da sempre, “che lì hanno un’esistenza miserabile”. D’altronde, ha sottolineato Trump, “vivono lì perché non hanno alternative”, mentre altrove avrebbero “pace e comodità”.
E visto che c’era, ha anche firmato l’ordine esecutivo per ritirare gli Usa dal Consiglio Onu per i diritti umani e bloccare i fondi all’Unrwa, l’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi.
L’idea di spostare le popolazioni autoctone per fare spazio agli occupanti andava di moda anche nella Berlino degli anni Trenta, e Benjamin Netanyahu, che ha ammazzato con i bombardamenti in pochi mesi 47mila palestinesi di Gaza di cui un terzo bambini, ha applaudito con convinzione al “piano che può cambiare la storia”.
A spingersi oltre è stato il ministro israeliano della destra radicale Bezalel Smotrich il quale, forte delle posizioni dell’alleato, ha affermato senza mezzi termini che “Seppelliremo l’idea di uno Stato palestinese”, quella di Trump “è la vera risposta al 7 ottobre”.
Il capo leader dell’opposizione israeliana, o meglio di Unità nazionale, Benny Gantz ha definito il piano di Trump “creativo, originale e interessante”, la “prova della profonda alleanza tra Stati Uniti e Israele”, mentre l’ex ministro per la Sicurezza Itamar Ben-Gvir, che per primo ha prospettato l’idea, ha rimarcato che “questa è l’unica soluzione”, e ha chiesto al premier Netanyahu di “dare quanto prima il via libera al piano”.
Che nel dna di Israele, paese nato nel 1948, vi sia l’obiettivo di buttare fuori le popolazioni autoctone per appropriarsi della loro terra, non è un mistero: basti vedere l’espansione graduale, le intenzioni dichiarate di annettere questo o quel territorio (ultimo la valle del Giordano), l’erosione dei confini, i milioni di profughi palestinesi costretti a una vita grama all’estero e i 750mila coloni che occupano illegalmente i territori degli altri, in quelli che elegantemente vengono chiamati kibbutz. E’ tuttavia certo che fino a quando i presidenti Usa, che vengono eletti con il ricco supporto delle potenti lobby sioniste statunitensi, garantiranno il loro cappello, la sorte dei milioni palestinesi sarà solo quella di cercare di non soccombere in tutti i modi alle prepotenze e all’ipocrisia.
Hamas, il partito egemone a Gaza considerato organizzazione terroristica dagli Usa e comunque non piegato dalle operazioni belliche israeliane, ha definito il piano di Trump “benzina sul fuoco” in un momento delicatissimo, nonché “razzista, finalizzato a sradicare la causa palestinese”; l’Organizzazione per la liberazione della Palestina ha dichiarato in un comunicato che “qui siamo nati e qui rimarremo”, e che “in conformità con il diritto internazionale, per la pace e la sicurezza, la soluzione resta quella dei Due Stati”; il numero uno di al-Fatah Abu Mazen (Mahmud Abbas) ha “rifiutato categoricamente” il piano di Trump, “non permetteremo che vengano attaccati i diritti del nostro popolo”.
No scontato dei paesi arabi, con l’Arabia Saudita che ha ammonito il blocco del processo di normalizzazione dei rapporti con Israele, e anche dalla Turchia è arrivato un altolà forte, con il ministro degli Esteri Hakan Fidan, che ha parlato di “piano inaccettabile, persino pensarci è una perdita di tempo, figurarci aprire una discussione”.
Dall’Ue la risposta a Trump è stata pressoché univoca, orientata alla soluzione dei Due Stati e al diritto dei palestinesi di rientrare nelle loro terre: il Quai d’Orsay ha espresso una contrarietà netta al trasferimento dei palestinesi di Gaza, la tedesca Annalena Baerbock ha insistito che “Gaza, la Cisgiordania e Gerusalemme Est appartengono ai palestinesi”, e la vicepresidente dell’Europarlamento Pina Picerno ha considerato che la posizione di Trump rappresenta “un regalo ad Hamas e alle organizzazioni terroristiche”.
Cauto il ministro degli Esteri italiano Antonio Tajani, per il quale “l’evacuazione della popolazione civile da Gaza, vista la risposta di Giordania ed Egitto negativa, mi pare che sia un po’ difficile”. “Vedremo – ha aggiunto – quando ci saranno proposte concrete, ma noi siamo per la soluzione dei Due popoli, due Stati”, “siamo addirittura pronti a inviare militari italiani per una missione di riunificazione della Striscia di Gaza con la Cisgiordania”.
Netta contrarietà al piano di Trump anche da Mosca e da Pechino: il portavoce del ministero degli Esteri Lin Jian ha dichiarato che “La Cina ha sempre sostenuto che il governo palestinese sui palestinesi quale opportunità per riportare il dialogo sulla soluzione die Due Stati”, per cui vi è “contrarietà al trasferimento forzato dei residenti di Gaza”.