Turchia. Il PKK tra guerra e resa: il difficile cammino verso la pace

di Giuseppe Gagliano

Nel nord dell’Iraq, tra le montagne che da decenni ospitano le basi del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK), il futuro dell’organizzazione sembra appeso a un filo. L’ordine di scioglimento lanciato dal leader storico Abdullah Ocalan lo scorso 27 febbraio ha aperto uno spiraglio per la fine di una delle insurrezioni più longeve del Medio Oriente. Ma il processo, già incerto, è ora ostacolato dai continui attacchi della Turchia, che minano ogni possibilità di dialogo.
In una lettera trasmessa ai suoi seguaci dal carcere di Imrali, dove è detenuto dal 1999, Ocalan ha chiesto la convocazione di un congresso per porre fine ufficialmente alla lotta armata contro la Turchia. Due giorni dopo il PKK ha risposto annunciando un cessate-il-fuoco unilaterale, vincolandolo però alla creazione di un “ambiente sicuro” per le trattative.
Il problema è che quell’ambiente sicuro non esiste. Le forze turche, con l’avallo del presidente Recep Tayyip Erdogan, continuano a colpire le postazioni del PKK nel nord dell’Iraq e della Siria. Secondo il contrammiraglio Zeki Akturk, portavoce del Ministero della Difesa turco, dall’inizio dell’anno sarebbero stati uccisi quasi 1.500 militanti curdi, 26 solo nella settimana precedente al 12 marzo.
Dal punto di vista di Ankara la questione è chiara: non ci sarà alcuna trattativa, il PKK deve solo arrendersi. Erdogan ha messo in guardia i militanti dal tentare tattiche dilatorie, avvertendo che “le operazioni continueranno fino all’eliminazione dell’ultimo terrorista.”
Questa linea dura ha creato un vicolo cieco nei negoziati. Il PKK sostiene di voler porre fine al conflitto, ma afferma che i bombardamenti turchi rendono impossibile anche solo riunire la leadership per discutere dello scioglimento. Il co-leader dell’organizzazione, Cemil Bayik, ha dichiarato che le condizioni attuali non consentono un congresso e ha accusato Ankara di sabotare il processo.
Un elemento chiave in questa vicenda è il ruolo del Partito dell’Uguaglianza e della Democrazia dei Popoli (DEM), la principale formazione politica filo-curda in Turchia. Il partito ha trasmesso i messaggi di Ocalan e ha richiesto un incontro con Erdogan per discutere la transizione. Il presidente turco ha dichiarato di essere disposto a ricevere una delegazione, ma finora non è stata fissata alcuna data.
Il governo turco non ha mai considerato Ocalan un interlocutore legittimo e ha sempre rifiutato qualsiasi forma di amnistia per i leader del PKK. La sua posizione si è ulteriormente irrigidita dopo il fallimento dei negoziati di pace del 2015, quando una breve tregua si concluse con la ripresa delle ostilità.
Mentre Ankara continua la sua offensiva e il PKK si dice pronto a deporre le armi ma chiede garanzie, il rischio è che il conflitto prosegua ancora a lungo. Mustafa Karasu, uno dei comandanti del PKK, ha dichiarato che il gruppo è serio nelle sue intenzioni di scioglimento, ma che non può accettare di dissolversi sotto i bombardamenti.
Il dilemma è chiaro: la Turchia vuole una resa totale, mentre il PKK chiede un processo più graduale, con concessioni politiche e la liberazione di Ocalan almeno parziale. Senza un compromesso, il cessate il fuoco potrebbe trasformarsi nell’ennesima tregua infranta in un conflitto che dura ormai da oltre quarant’anni.