Ucraina. Borrell vuole colpire il territorio russo, ma Ungheria e Italia sono contrare

di Giovanni Caruselli

All’inizio del conflitto russo-ucraino la posizione dell’occidente sembrava chiara e ferma: sostegno militare all’Ucraina ma dentro i suoi confini, per evitare l’escalation verso un confronto diretto con Mosca. Poco per volta però l’evoluzione della situazione sul campo ha fatto capire che la regia di una guerra non si potesse lasciare completamente nelle mani dell’assalitore. La difesa passiva rischia di diventare dispendiosa, poco efficace e lascia nelle mani dell’avversario il vantaggio dell’effetto sorpresa. Evidentemente l’aggressione della Germania alla Francia nella Seconda guerra mondiale e l’inutilità della Linea Maginot non ha insegnato nulla. Se le cose stanno così è evidente che il gigante russo dispone di risorse ben maggiori di Kiev nel prolungare la guerra a suo piacimento. Quindi progressivamente le restrizioni sull’uso delle armi sono state allentate: prima i carri armati, poi i droni e recentemente gli F-16. Si è a un passo dalla cobelligeranza, ma l’Alto rappresentante per la Politica estera e di Sicurezza della Ue (Pesc) Josep Borrell chiede egualmente agli alleati di lasciare liberi gli ucraini di usare come meglio credono i dispositivi bellici a lunga gittata che sono stati loro forniti. Come sappiamo l’Unione Europea fa fatica a trovare l’unanimità su molte questioni e il problema non fa eccezione. Italia e Ungheria si oppongono a una deliberazione collettiva che permetterebbe agli ucraini di mettere nel mirino i bersagli strategici della logistica di Mosca a grande distanza. La discussione a Bruxelles sembra essere stata piuttosto dura, per approdare alla fine alla decisione di delegare ai singoli governi nazionali come rispondere alle richieste di Kiev.
Per quanto riguarda gli Usa Joe Biden ovviamente nelle sue scelte è supportato da esperti militari, i quali guardano un po’ più lontano del comune cittadino. Ciò nel senso che, anche se l’uso delle armi più letali permettesse un qualche vantaggio temporaneo a Kiev, il vero problema è capire se ciò metterebbe seriamente in difficoltà Vladimir Putin nel lungo periodo. E la risposta sembra essere negativa. Attaccare le basi da cui partono droni e missili rallenterebbe l’aggressione russa ma non la neutralizzerebbe, perché solo lo spiegamento di forze di terra sul territorio nemico può portare questo risultato. L’esercito ucraino brilla certamente per il coraggio dimostrato dai militari, ma non possiede né la consistenza né le competenze necessarie a respingere verso l’interno la macchina militare russa. Il Financial Times riferisce inoltre che le immagini satellitari testimoniano un’accelerazione dell’avanzata russa nel Donbass, dove tutto il sistema difensivo ucraino appare essere entrato in crisi. Sembra che ci siano ritardi nel reclutamento e nella mobilitazione, tanto che alcune trincee scavate a difesa di località critiche sono restate praticamente vuote. Se la gravità di tali notizie risulterà verificata dai fatti, l’urgenza con cui i comandi ucraini intendono colpire le basi logistiche del Cremlino in territorio russo appariranno giustificate. L’indecisione dell’Unione Europea è palesemente determinata dalle ripetute minacce del Cremlino di rispondere con armi atomiche a una dichiarata cobelligeranza dell’occidente con l’Ucraina. A Bruxelles si continua a sostenere una posizione che avrebbe avuto senso se fosse stato possibile piegare la Russia solamente con le sanzioni, ma è evidente che il calcolo si è dimostrato sbagliato, almeno in tempi brevi. La parola paura non ha cittadinanza nel linguaggio diplomatico e quindi probabilmente si continuerà ad adoperare il termine prudenza accanto alla ripetuta, abusata e retorica affermazione della difesa dell’indipendenza dell’Ucraina a qualunque costo.