
di Giuseppe Gagliano –
Nel complesso teatro delle relazioni internazionali, la Turchia di Erdogan si sta affermando come un attore chiave, assumendo il ruolo di mediatore nel conflitto ucraino, in particolare tra il presidente statunitense Donald Trump e il suo omologo ucraino Volodymyr Zelensky. Nelle ultime settimane Ankara ha attirato l’attenzione per il suo impegno in negoziati cruciali. Questo articolo esplora gli sviluppi recenti e offre una valutazione geopolitica della posizione turca.
Secondo il quotidiano turco Hürriyet dell’8 maggio 2025, Donald Trump avrebbe chiesto a Recep Tayyip Erdogan di fungere da mediatore nel conflitto russo-ucraino, una proposta accolta favorevolmente dal presidente turco. Questa iniziativa segue una clamorosa rottura tra Trump e Zelensky durante un incontro alla Casa Bianca il 28 febbraio 2025. Le divergenze sui termini di un possibile accordo di pace, in particolare sulla questione della Crimea, hanno spinto Zelensky a lasciare Washington senza firmare alcun documento. Trump ha criticato l’intransigenza ucraina, mentre Zelensky ha difeso con fermezza la sovranità del suo paese.
Di fronte a questo stallo, la Turchia si è proposta come ponte diplomatico. Già nel 2022 Ankara aveva facilitato il dialogo tra Mosca e Kiev, in particolare durante i colloqui di Antalya e attraverso l’Iniziativa per i cereali del Mar Nero. Oggi, Erdoğan capitalizza questa esperienza. Fonti diplomatiche riferiscono di colloqui russo-americani tenuti a Istanbul a fine febbraio 2025, confermando il ruolo centrale della Turchia. La presenza di Erdogan al vertice di Londra del 2 marzo 2025, dedicato alla sicurezza ucraina, rafforza la sua influenza.
La Turchia adotta una postura di equilibrismo geopolitico, combinando ambizioni regionali e relazioni bilanciate con le grandi potenze. Sostiene l’Ucraina con la fornitura di droni Bayraktar e appoggiando l’integrazione di Kiev nella NATO, come ribadito durante la visita di Zelensky a Istanbul nel luglio 2023. Allo stesso tempo, mantiene rapporti economici ed energetici con la Russia, evitando di imporre sanzioni. Questa ambivalenza, spesso criticata in Occidente, rende Ankara un mediatore credibile.
Erdogan sfrutta il vuoto diplomatico lasciato da un’Europa divisa e dagli Stati Uniti, sotto Trump, più isolazionisti. La prospettiva di una partecipazione turca a una forza di mantenimento della pace in Ucraina, discussa a Londra insieme a Francia e Regno Unito, potrebbe consolidare il suo status di potenza regionale indispensabile.
Questo ruolo di mediatore comporta rischi. Erdogan deve conciliare le aspettative di Trump, che cerca un accordo rapido, con quelle di Zelensky, che pretende garanzie di sicurezza, inclusa l’adesione alla NATO. La Russia, pur favorevole alla mediazione turca, potrebbe diffidare delle ambizioni di Ankara nel suo spazio d’influenza. Inoltre, la Turchia deve gestire tensioni interne e regionali, in particolare in Siria e con i curdi, mentre rafforza la sua immagine globale.
Per l’Europa, l’ascesa di Ankara come mediatore solleva interrogativi. Un successo potrebbe spingere la Turchia a chiedere concessioni, ad esempio sull’adesione della Svezia alla NATO o sui rapporti con l’UE. Per gli Stati Uniti, delegare questo ruolo a Erdogan riflette la volontà di ridurre il loro impegno in Europa, lasciando alla NATO la gestione delle conseguenze del conflitto.
La Turchia di Erdogan incarna un pragmatismo geopolitico in cui l’opportunismo prevale sull’idealismo. Dialogando con Trump, Putin e Zelensky, Ankara si posiziona come fulcro euroasiatico, perpetuando una tradizione di navigazione tra Est e Ovest. Tuttavia, la mediazione potrebbe fallire se le parti rimangono intransigenti o se Erdogan sopravvaluta la sua influenza. La dipendenza turca dalla Russia, soprattutto per l’energia, limita il suo margine di manovra. Inoltre, lo stile autoritario di Erdogan potrebbe complicare i negoziati, specialmente con la determinazione di Zelensky.
Accettando di mediare tra Washington, Kiev e Mosca, la Turchia si lancia in una scommessa audace. Un successo rafforzerebbe la sua statura internazionale e ridisegnerebbe gli equilibri geopolitici. Tuttavia, in un mondo segnato da diffidenza e interessi divergenti, la pace rimane un obiettivo fragile. La Turchia sta giocando una partita a scacchi complessa, in cui ogni mossa richiede una precisione estrema.