di Giuseppe Gagliano –
Donald Trump ha sempre avuto un’idea molto personale della diplomazia: trattare gli affari di Stato come transazioni commerciali e gestire le relazioni internazionali con la logica di un contratto immobiliare. Così, non sorprende che abbia inviato i suoi uomini a Riyadh, in Arabia Saudita, per negoziare un accordo sulla guerra in Ucraina senza coinvolgere l’Ucraina stessa.
A riferirlo è Democracy Now!, il quale ha rivelato come il nuovo segretario di Stato americano Marco Rubio e il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov abbiano avviato discussioni che potrebbero portare a un cessate-il-fuoco e, forse, a un incontro tra Trump e Putin. Ma il dettaglio più significativo è che il presidente ucraino Volodymyr Zelensky non è stato invitato.
Zelensky, interpellato dai giornalisti, ha confermato l’esclusione con parole che non lasciano spazio a interpretazioni: “L’Ucraina non prenderà parte ai colloqui in Arabia Saudita. L’Ucraina non ne sapeva nulla”.
Un’assenza che, più che diplomatica, è emblematica: Washington e Mosca stanno discutendo il destino dell’Ucraina senza l’Ucraina, con buona pace di chi ancora crede che Kiev sia davvero padrona del proprio futuro.
Come se non bastasse, l’amministrazione Trump ha pensato bene di aggiungere un elemento surreale alla trattativa. Secondo le fonti di Democracy Now!, gli Stati Uniti avrebbero chiesto all’Ucraina di cedere la metà delle sue riserve di terre rare come forma di compensazione per gli aiuti ricevuti. Una richiesta che Jeffrey Sachs, economista ed esperto di politica internazionale, ha definito “bizzarra e assurda”.
Sachs, che segue da decenni le dinamiche geopolitiche, non ha dubbi: la guerra in Ucraina è il risultato di una strategia occidentale sbagliata, condotta con la convinzione che la Russia si sarebbe piegata sotto il peso delle sanzioni e della pressione militare.
“Questa guerra non sarebbe mai dovuta accadere. Si sarebbe potuta evitare più volte, ma gli Stati Uniti e la Gran Bretagna hanno impedito all’Ucraina di negoziare con la Russia”.
Le sue parole fanno riferimento a un episodio poco discusso ma cruciale: i negoziati di marzo 2022. All’epoca, secondo Sachs, Zelensky era vicino a un accordo con Putin, ma gli Stati Uniti e il Regno Unito avrebbero bloccato tutto. “Boris Johnson andò a Kiev per dire a Zelensky che non era il momento di negoziare. E da allora sono morti quasi un milione di ucraini”.
La logica è sempre la stessa: gli Stati Uniti non combattono per difendere l’Ucraina, ma per logorare la Russia. E nel frattempo, le risorse strategiche di Kiev, terre rare, terre agricole, infrastrutture, diventano il vero obiettivo della partita.
A contestare questa visione, seppur con qualche riserva, c’è Matt Duss, ex consigliere di Bernie Sanders. La sua posizione è chiara: è vero che gli Stati Uniti hanno fatto errori nella gestione della crisi, ma Putin non è certo una vittima delle provocazioni occidentali. “Putin ha scelto di invadere l’Ucraina e di annettere territori illegalmente. Parlare di provocazioni della NATO non spiega tutto.”
Duss però riconosce il punto centrale: gli Stati Uniti stanno trattando con Mosca come se l’Ucraina fosse un’appendice della guerra fredda.
“Putin vede il mondo diviso tra grandi potenze che decidono e nazioni minori che si devono adeguare. E sfortunatamente, Trump sembra pensarla allo stesso modo”.
A conferma di ciò c’è il fatto che il nuovo accordo in discussione non si limita al cessate il fuoco: Trump vuole ridisegnare gli equilibri strategici, spartendosi l’influenza sull’Ucraina con Putin.
Nel frattempo l’Europa si divide su come gestire la crisi. Il cancelliere tedesco Olaf Scholz invita alla prudenza, mentre il premier britannico Keir Starmer apre alla possibilità di inviare truppe in Ucraina per garantire il rispetto di un futuro accordo di pace. “L’Europa deve assumersi le sue responsabilità. Se ci sarà un cessate il fuoco, sono pronto a impegnare le forze britanniche per garantire la sicurezza”.
Il problema è che, mentre si discute di pace, la NATO sta preparando un’altra mossa destinata ad alzare la tensione: Trump ha chiesto ai membri dell’Alleanza Atlantica di portare la spesa militare al 5% del PIL.
Una richiesta che, come nota Duss, favorisce soprattutto l’industria bellica americana: “Se gli europei aumentano la spesa militare, chi venderà loro le armi? Gli Stati Uniti, ovviamente. E così la guerra diventa ancora più redditizia”.
A questo punto, la domanda è: Trump e Putin stanno cercando la pace o stanno solo ridefinendo le zone di influenza? Sachs, ottimista, vede un’opportunità: “Finalmente un presidente americano ammette che la guerra è il risultato delle provocazioni occidentali. Se gli Stati Uniti smettono di alimentarla, può finire.”
“Un accordo di pace è possibile, ma senza Kiev al tavolo qualsiasi intesa rischia di essere fragile e instabile”.
E in effetti, a guardare la storia, la pace non è mai stata un obiettivo prioritario. Il vero punto è il controllo delle risorse, delle rotte commerciali e delle sfere d’influenza.
L’Ucraina nel frattempo continua a combattere. Ma l’impressione è che la sua sorte venga decisa altrove, tra Washington e Mosca, tra Riyadh e Bruxelles. E mentre si parla di accordi, concessioni e “opportunità di investimento”, il vero business della guerra continua indisturbato.