Ucraina. Per la pace serve più coraggio

di Maurizio Delli Santi * –

Le cronache dei media sono fondamentali in questo momento per richiamare la giusta attenzione sulla gravità della situazione che sta evolvendo in Ucraina. Tuttavia, l’amplificazione che ne fa la diffusione digitale e dai social, e il proliferare nei talk show televisivi di dibattiti tra “analisti” di geopolitica e strategie militari autoreferenziali fa correre il rischio di disorientare l’uditorio, e diffondere solo allarme e confusione. Nella sostanza si sta replicando quello che è avvenuto con la pandemia, quando la bolla mediatica è stata talvolta controproducente e ha lasciato spazio a tesi inconsistenti che si sono drammaticamente insinuate in alcune fasce della popolazione. Occorre dunque, soprattutto da parte delle redazioni televisive, grande attenzione nel saper filtrare le informazioni, e individuare i soggetti realmente qualificati a fare “analisi”, preferibilmente da individuare in centri studi e think thank accreditati. Più spazio andrebbe conferito in ogni caso alla diplomazia ufficiale e alla comunità dei giuristi, e nell’ambito militare, pur nella riservatezza che debbono preservare, occorrerebbe preferire tendenzialmente soggetti istituzionali in servizio, piuttosto che appartenenti alle categorie in congedo che, per ragioni oggettive, non garantiscano la reale percezione delle situazioni.
Di fronte al dramma che sta vivendo l’Ucraina, occorre dunque avere la forza di alimentare il dibattito sulle prospettive di risoluzione del conflitto. Dovrebbe essere questa la priorità degli organi di informazione, affinché si diffonda maggiore consapevolezza che non si deve rinunciare, con ogni mezzo, all’ obiettivo di imporre con immediatezza la cessazione delle ostilità. Come di fronte ad una persona che deve affrontare una patologia, la scelta deve essere sempre quella di non avvilirla e pensare al meglio, anche perché questo aiuta la risposta immunitaria. E ciò è tanto più vero quanto la patologia riguarda fenomeni di massa, di cui la guerra è una espressione e può generare il panico. È bene dunque non focalizzarsi sui soli aspetti negativi ed avvilenti delle situazioni, ricordando come Antonio Gramsci diceva di reagire di fronte al “pessimismo dell’intelligenza”, ovvero con l’“ottimismo della volontà”.
Fatte queste premesse, ci sono varie ragioni per valorizzare alcuni passaggi positivi delle cronache sulla evoluzione della guerra. Il fatto che l’invasione dell’Ucraina non si sia tradotta ancora in una blitzkrieg conferma che le forze ucraine hanno comunque una capacità di resistenza, e questa può essere rafforzata dalla comunità occidentale, come sta già facendo. La posizione di “astensione” che ha assunto la Cina di fronte alla richiesta di una Risoluzione di condanna per la Russia non deve essere letta necessariamente come un deciso schieramento al suo fianco. Va anzi vista come una posizione equidistante e neutrale, che anzi può essere sfruttata insieme a quelli tanti altri Paesi che possono diventare soggetti che potranno diventare attori di una mediazione per la cessazione delle ostilità.
Su questo percorso ci sono poi tanti altri riscontri estremamente positivi che vanno meglio valorizzati. Ne indichiamo solo alcuni. Il Consiglio d’Europa, che è un organo distinto dagli organismi dell’Unione Europea e non va confuso con questi, ha deliberato l’estromissione della Russia: ciò significa che 47 Stati, ovvero i 27 appartenenti all’UE più altri 20 Stati, che si riconoscono nei valori dell’Europa della Convenzione europea sui diritti dell’uomo, hanno di fatto condannato l’intervento russo. E fra questi figurano Stati come Albania, Moldavia, Macedonia del Nord, Croazia, Georgia, Armenia, Azerbaigian, Bosnia ed Erzegovina, Serbia, Montenegro.
E ci sono altri segnali più forti dell’isolamento internazionale che dovrà preoccupare la Russia. L’Ungheria di Orban, che nell’ambito dell’Unione Europea era stato individuato sempre fra i leader autocrati di orientamento filorusso e nemico dell’immigrazione, si è dichiarata pronta ad aprire le frontiere per accogliere i profughi ucraini. Un altro presidente europeo, da sempre filo-russo, quello della Repubblica Ceca, Milos Zeman, ha definito il capo del Cremlino “un pazzo da isolare”.
E nell’ambito della stessa area di influenza della Russia, il Kazakistan, che pure era stato aiutato da Mosca durante la recente rivolta popolare, ha rifiutato di fornire le sue truppe. Non solo, l’ex repubblica sovietica ha pure reso noto che non riconosce le repubbliche separatiste di Donetsk e Lugansk sostenute dalla Russia. Un ruolo significativo lo sta assumendo anche il turco Erdogan, l’autocrate che ultimamente sembrava più vicino a Putin. Invece ora ha riscoperto il valore della sua appartenenza alla Nato, condannando l’intervento russo in Ucraina, con cui intrattiene solidi rapporti di cooperazione economica. Erdogan ha quindi offerto insistentemente la sua mediazione, e in caso di guerra in base alla Convenzione di Montreux potrebbe anche limitare l’ingresso delle navi da guerra sugli stretti del Bosforo e dei Dardanelli, attraverso cui si accede al mar Nero dal Mediterraneo.
In ultimo, è bene considerare ancora due profili. Il primo: occorre non sottovalutare cosa sta succedendo in Russia. La contestazione si va diffondendo, nonostante le pesanti minacce di ritorsioni: si parla di 1.800 arresti di giovedì in tutta la Russia, di cui 700 nella sola capitale e a San Pietroburgo.
Il secondo: può sembrare poco realistica oggi la minaccia di un possibile intervento degli organi della giustizia penale internazionale. Ma come lo hanno dimostrato i Tribunali di Norimberga, Tokio e della ex Jugoslavia la spada della giustizia può giungere inesorabile. I crimini di guerra e contro l’umanità sono imprescrittibili e non ammettono immunità, nemmeno per capi di stato e di governo. Avrà dunque un senso la dichiarazione fatta dal procuratore della Corte penale internazionale dell’Aja, Karim A.A. Khan, sulla situazione in Ucraina: “Ricordo a tutte le parti che conducono ostilità sul territorio dell’Ucraina che, ai sensi della dichiarazione depositata l’8 settembre 2015 (nota: dal Ministero degli esteri dell’Ucraina) che accetta la giurisdizione della Corte penale internazionale, il mio Ufficio può esercitare la sua giurisdizione e indagare su qualsiasi atto di genocidio, crimine contro l’umanità o crimine di guerra commesso nel territorio dell’Ucraina dal 20 febbraio 2014 in poi. Chiunque commetta tali reati, anche ordinando, incitando o contribuendo in altro modo alla commissione di tali reati, può essere perseguibile dinanzi alla Corte, nel pieno rispetto del principio di complementarità. È imperativo che tutte le parti in conflitto rispettino i loro obblighi ai sensi del diritto internazionale umanitario”.
Tuttoquesto deve senz’altro spingere la comunità internazionale, e in particolare l’Unione Europea, che può contare sulla forza dei suoi valori e di settanta anni di pace, a promuovere con coraggio, convinzione e senza remore, la ripresa del dialogo diplomatico per porre fine alla guerra.

* Membro dell’International Law Association.