di Giuseppe Gagliano –
In un’epoca segnata dalla decomposizione dell’ordine internazionale post Guerra Fredda, ogni dichiarazione pubblica è una mossa strategica, ogni precisazione un messaggio in codice. Vladimir Putin lo sa bene. Ieri, nel corso di un incontro con le principali agenzie di stampa internazionali a San Pietroburgo, il presidente russo ha lanciato un avvertimento preciso alla Germania: l’eventuale consegna all’Ucraina dei missili da crociera Taurus, con gittata superiore ai 480 chilometri, significherebbe il coinvolgimento diretto di Berlino nella guerra contro la Russia.
Putin non si è limitato a un’espressione retorica: ha motivato l’accusa di “coinvolgimento armato diretto” con argomenti tecnici e operativi. L’impiego dei Taurus, ha spiegato, richiederebbe il supporto attivo di intelligence satellitare occidentale e l’impiego di ufficiali tedeschi per il targeting. In altri termini, secondo la visione russa, personale militare tedesco contribuirebbe direttamente a colpire obiettivi su suolo russo.
Il riferimento è tutt’altro che accademico. Il ministro della Difesa tedesco, Boris Pistorius, aveva dichiarato il 12 giugno che Berlino non sta attualmente considerando l’invio di missili Taurus, nonostante le pressioni provenienti da Kiev. Ma nel mondo delle relazioni internazionali, le dichiarazioni formali valgono fino al giorno successivo.
Putin ha lasciato aperta una porta: “Se il cancelliere federale vuole chiamare, siamo sempre pronti”. Una frase apparentemente conciliante, ma subito delimitata da una cornice ostile. Mosca non considera più la Germania un attore neutrale. Anzi: la presenza di carri armati Leopard sui campi ucraini, e l’addestramento fornito ai soldati di Kiev, fanno della Repubblica Federale un attore schierato. Peggio ancora, un “complice”.
Il giudizio di Putin non è solo giuridico o operativo, è simbolico. Berlino non può più aspirare a un ruolo di mediazione, come accaduto ai tempi del formato Normandia, perché ha scelto il campo di battaglia, non quello negoziale.
Il riferimento a Friedrich Merz, leader cristiano-democratico e oggi cancelliere, non è casuale. Durante la campagna elettorale, Merz si era espresso più volte a favore della fornitura dei Taurus. Ma una volta al potere, la posizione si è sfumata, sotto la pressione del Pentagono e degli industriali tedeschi preoccupati dalle ritorsioni russe.
Secondo indiscrezioni rilanciate da RTL Direkt, Merz e Volodymyr Zelensky avrebbero discusso privatamente della questione, concordando di mantenerne riservati i contenuti. Un modo per evitare l’attenzione mediatica su una trattativa ad alta sensibilità. Lo stesso Zelensky ha confermato l’incontro e l’esistenza di un’intesa sul silenzio, pur ammettendo che i Taurus restano “uno degli strumenti necessari” per contenere l’aggressione russa.
Tuttavia mentre la Germania si dibatte tra sostegno militare e prudenza politica, Putin rilancia il doppio binario: minaccia e negoziazione. Da un lato, dichiara che i Taurus non cambieranno l’esito del conflitto, perché “le forze russe avanzano in tutte le direzioni”; dall’altro, offre segnali di “buona volontà” sul fronte umanitario: la Russia sarebbe pronta a restituire altri 3mila cadaveri di soldati ucraini caduti, nell’ambito di uno scambio di prigionieri che ha già prodotto quattro fasi tra il 9 e il 14 giugno.
Putin ha citato i colloqui di Istanbul del 2 giugno come “positivi”, con la promessa di proseguire gli scambi di prigionieri sulla base di una formula simmetrica (6.000 per 6.000). Nella sua narrazione, la Russia mostra umanità laddove l’Occidente alimenta la guerra.
Tutto questo si colloca in un contesto europeo profondamente destabilizzato. L’Unione ha appena proposto un embargo totale sul gas russo entro il 2027, mentre la Danimarca investe massicciamente in Groenlandia nel tentativo di contenere le mire strategiche statunitensi. Zelensky, nel frattempo, ha lasciato il G7 senza assicurazioni su nuovi aiuti militari da parte di Washington. E la Corea del Nord si prepara a inviare 6.000 lavoratori paramilitari nella regione di Kursk, a supporto della logistica russa.
In questo scenario, la Germania non può più nascondersi dietro la neutralità. Ogni scelta tecnologica o logistica, dalla consegna di un missile all’invio di un radar, assume un peso politico. E Mosca, con la consueta abilità, si muove sul crinale tra il calcolo militare e la narrazione diplomatica.
L’offerta di dialogo a Merz è reale, ma funzionale. Serve a costruire l’immagine di una Russia pronta al compromesso, mentre continua l’erosione lenta ma inesorabile del fronte ucraino. È la guerra degli spazi grigi, dove un missile può essere una dichiarazione di guerra o una carta da gioco negoziale. E la Germania, in mezzo, deve scegliere se restare potenza economica o diventare potenza bellica.