di Enrico Oliari –
Gli americani vincono sempre. Anche quando perdono le guerre, com’è avvenuto in più occasioni dal 1945. Così è stato in Afghanistan, dove vent’anni di guerra hanno fatto benissimo all’economia Usa, con una produzione complessiva di armi e armamenti di quasi 880 miliardi di dollari all’anno (dati 2022). E così sta succedendo in Ucraina, dove l’intento primario era portare il paese di Volodymyr Zelensky nella Nato e circondare la Russia.
Per quanto i media di massa si arrampicheranno sugli specchi per mascherare anni di frottole, la direzione sembra infatti quella della sconfitta, con tanto di concessioni territoriali alla Russia, altro che “integrità territoriale”, come hanno blaterato fin dall’inizio leader occidentali come Ursula von der Leyen e Mario Draghi. Perché, per quanto il presidente francese Emmanuel Macron abbia già parlato di voler continuare il conflitto “da soli”, a comandare resta sempre e comunque chi siede alla Casa Bianca.
Appena eletto il presidente Usa Donald Trump, il cui mandato enterà in vigore solo a gennaio, ha chiamato il collega russo Vladimir Putin per discutere di “una rapida risoluzione della guerra in Ucraina”. Ne ha dato notizia ieri il Washington Post, il quale ha riportato di un Trump che sì ha ricordato la massiccia presenza militare statunitense in Europa, ma si è detto preoccupato per i costi che stanno ricadendo sui contribuenti.
Della telefonata era stato preventivamente informato il governo ucraino che non si era opposto alla conversazione, sia perchè, com’è stato riferito, i funzionari ucraini “avevano capito da tempo che Trump avrebbe collaborato con Putin su una soluzione diplomatica per l’Ucraina”, sia perchè il peso specifico di Kiev senza i dollari americani è pressoché nullo.
Nei giorni scorsi era trapelato sul The Wall Street Journal il possibile piano di Trump che prevede la cessione del 20% del territorio ucraino alla Russia, cioè dei territori oggi occupati, compresa la Crimea; l’obbligare l’Ucraina a rinunciare all’entrata nella Nato per un periodo di almeno 20 anni, in cambio continuerebbe a ricevere armi e aiuti dagli Usa; l’intesa per una zona demilitarizzata di 1.300 chilometri presidiata dagli europei “a loro spese”. A dichiarare che “la Crimea è ormai definitivamente perduta” è stato poi uno dei consiglieri di Trump, prontamente redarguito e smentito, ma il tempo gli darà ragione.
Così, mentre l’attuale amministrazione Biden dirotta i missili Atacms dall’Ucraina alla Corea del Sud (dove almeno li pagano), il presidente ucraino Zelensky si aggira come uno spirito in pena tra le cancellerie europee alla ricerca di rassicurazioni sempre più deboli. Difficilmente non le avrà dalla Germania, paese al quale ha fatto saltare il gasdotto e la cui economia è sull’orlo della recessione anche a causa delle politiche russofobiche. Svanito il suo “Piano per la vittoria”, una bibbia per i media occidentali e un sogno applauditissimo in quella Verchovna Rada da cui ha escluso le opposizioni, ci si è messo pure il figlio maggiore di Trump, Donald Jr, a sbeffeggiarlo commentando su Instagram che “mancano 38 giorni alla perdita della tua paghetta”.