di Giuseppe Gagliano –
Gli Stati Uniti vogliono che l’Ucraina torni alle urne, ma dietro questa richiesta si nasconde una mossa ben più ampia, che tocca i fragili equilibri di potere tra Washington, Kiev e Mosca. Secondo Keith Kellogg, inviato speciale di Donald Trump per l’Ucraina e la Russia, le elezioni in Ucraina devono tenersi anche in tempo di guerra, perché “la maggior parte dei Paesi democratici prevede elezioni anche sotto assedio”. Un principio nobile, se non fosse che lo stesso concetto non viene applicato quando non conviene agli interessi americani.
Il punto centrale infatti è che l’amministrazione Trump sta cercando un modo per spingere Kiev verso un negoziato con Mosca, ma non lo fa apertamente. La proposta di nuove elezioni serve a creare una transizione politica che, nelle intenzioni di Washington, potrebbe aprire la strada a un’intesa di lungo periodo. Tradotto in termini pratici: un eventuale nuovo presidente potrebbe trattare con Putin senza l’ostacolo della rigidità di Zelensky, che ha costruito tutta la sua immagine sulla resistenza a oltranza.
L’Ucraina però si trova davanti a un dilemma. La Costituzione ucraina vieta espressamente lo svolgimento di elezioni sotto legge marziale, una misura in vigore dal febbraio 2022. Perché revocarla, allora, proprio adesso? Da un lato, il governo ucraino non vuole mostrarsi come un regime che rinvia le urne per convenienza, dall’altro teme le conseguenze di un voto in pieno conflitto.
Le preoccupazioni a Kiev non riguardano solo la sicurezza del voto, ma anche il rischio di un terremoto politico interno. Indire elezioni potrebbe dividere il fronte interno e scatenare lotte di potere tra i possibili successori di Zelensky. Alcuni analisti fanno notare che, se la legge marziale venisse sospesa, molti soldati mobilitati potrebbero lasciare il fronte, privando l’esercito ucraino di forze fondamentali in una fase ancora critica della guerra. Inoltre, molti uomini in età da leva potrebbero tentare di fuggire dal Paese, peggiorando il già fragile equilibrio demografico ucraino.
C’è poi la variabile Vladimir Putin, che ha già chiarito la sua posizione: senza elezioni, Zelensky non ha la legittimità per firmare un trattato di pace. Un gioco sottile, che punta a delegittimare il governo ucraino sul piano diplomatico. Se non si vota, Mosca potrà dire che il potere a Kiev è privo di una base legale e quindi non vincolato a nessun accordo. Un’argomentazione che, paradossalmente, potrebbe trovare sponde in alcuni ambienti occidentali, dove cresce la frustrazione per l’andamento del conflitto.
L’amministrazione Trump, che nel 2025 potrebbe essere tornata alla guida degli Stati Uniti, sta già ragionando su un’ipotesi di tregua. Secondo alcune indiscrezioni, Washington sta valutando di spingere per un cessate il fuoco temporaneo, seguito da un accordo più duraturo che garantisca all’Ucraina protezione occidentale, ma senza adesione immediata alla NATO. In questo quadro, il voto presidenziale servirebbe a rilegittimare il governo ucraino, offrendo a Mosca una via d’uscita onorevole.
Il problema è che a nessuna delle due parti interessa veramente una soluzione di compromesso. Putin non ha mostrato segnali di voler trattare seriamente e continua a rafforzare le sue posizioni militari. Kiev, dal canto suo, ritiene che una tregua servirebbe solo a Mosca per riorganizzarsi e tornare all’attacco in un secondo momento.
Al centro di questa tensione resta la posizione dell’Europa, sempre più in bilico tra sostegno a Kiev e timori di un allargamento del conflitto. Il segretario generale della NATO, Mark Rutte, ha invitato gli Stati membri a prepararsi alla guerra, avvertendo che il miglior deterrente è una difesa forte. Berlino, in particolare, è sotto pressione per aumentare il budget militare e garantire un ruolo più attivo nelle strategie dell’Alleanza.
Nel frattempo Zelensky continua a chiedere garanzie di sicurezza per il futuro dell’Ucraina. Il presidente ucraino ha dichiarato che senza un impegno chiaro da parte di Washington e Bruxelles, ogni negoziato sarebbe inutile. Non a caso, ha rilanciato la possibilità di dispiegare truppe occidentali in Ucraina, un’idea che spaventa molti governi europei ma che potrebbe essere l’unico vero strumento per costringere Mosca a trattare seriamente.
Il rischio è che ancora una volta si stia preparando un negoziato sulla pelle dell’Ucraina, senza coinvolgere davvero il Paese nelle decisioni. Da un lato, Washington vuole ridurre il suo impegno e trovare una soluzione per uscire dal conflitto senza perdere la faccia. Dall’altro, Mosca cerca di sfruttare la situazione per ottenere concessioni territoriali e politiche. Nel mezzo, Kiev rischia di trovarsi con un futuro incerto e con una guerra che potrebbe continuare, anche sotto altre forme, per molti anni a venire.