
di C. Alessandro Mauceri –
Nei giorni scorsi i candidati al ruolo di presidente della Commissione europea si sono confrontati in un dibattito televisivo “all’americana”. Una scelta che lascia perplessi per diversi motivi: il primo è che tale ruolo non è “elettivo”, vale a dire non sono i cittadini europei a votare per eleggere il o la presidente della Commissione europea, ma gli europarlamentari. Una dei primi momenti in cui i nuovi eletti (questi sì) sono chiamati a votare al Parlamento europeo sarà proprio per scegliere il soggetto che riceverà l’incarico di presidente della Commissione europea. Dalle ultime due legislature, ad essere scelto doveva essere (anche per motivi di “numeri”) il soggetto indicato dal gruppo europeo che aveva ottenuto più seggi, così è stato per Junker. Per Ursula von der Leyen invece non fu così: in un primo tempo il soggetto indicato dal PPE era un altro, ma si decise di cambiarlo e di scegliere lei.
Ora la von der Leyen è di nuovo in corsa per il ruolo di soggetto indicato dal PPE come candidato alla presidenza della Commissione. Ma il percorso potrebbe non essere così semplice come sembra, dopo aver ascoltato gli altri candidati nel talk show (non era nient’altro che questo) andato in onda qualche giorno fa.
“I passi falsi periodici di von der Leyen, dal Pfizergate al suo viaggio in Israele, stanno assumendo un nuovo significato man mano che ci avviciniamo alle elezioni”, ha detto Alberto Alemanno, professore di diritto alla HEC business school di Parigi. “Rappresentano un modello”. Scansato, almeno per ora, lo scandalo per i vaccini e le preferenze di una certa casa farmaceutica, sulla decisione del Parlamento europeo potrebbe pesare anche un altro scandalo sempre legato alla von der Leyen.
Il 27 maggio l’Istituto internazionale di ricerca sulla pace di Ginevra (GIPRI) ha diffuso un comunicato stampa nel quale si diceva che il 22 maggio 2024, insieme ad altre associazioni come il Collectif de Juristes pour le Respect des Engagements Internationaux de la France (CJRF), e ad un non meglio definito gruppo di “cittadini internazionali interessati”, ha presentato una memoria legale al procuratore della Corte Penale Internazionale (CPI), Karim Khan, nella quale si chiedeva l’apertura di un’indagine contro Ursula von der Leyen per complicità in crimini di guerra e genocidio contro civili palestinesi nei territori occupati Territori, compresa la Striscia di Gaza. Nel comunicato stampa si fa riferimento ad una lettera inviatale il 14 febbraio 2024 dal presidente del governo spagnolo Pedro Sánchez e dall’allora primo ministro irlandese Leo Varadkar che dimostrerebbe che era stata ripetutamente informata delle violazioni del diritto internazionale umanitario commesse nei Territori Palestinesi Occupati, in particolare nella Striscia di Gaza. Secondo gli autori della nota inviata alla Corte Penale Internazionale, Ursula von der Leyen sarebbe “responsabile del favoreggiamento della commissione di crimini e violazioni del diritto internazionale umanitario, ai sensi dell’articolo 25, paragrafo 3, lettera c, dello Statuto di Roma, cioè della Corte Penale Internazionale”. Nella nota si fa inoltre presente che “la signora von der Leyen non gode di alcuna immunità funzionale dinanzi alla Corte Penale Internazionale in virtù dell’articolo 27 dello Statuto di Roma”.
Indipendentemente dalle responsabilità o meno che verranno riscontrate e dalle misure potrebbero essere intraprese dalla CPI, sono due i quesiti che ci si dovrebbe porre. Il primo è come mai nella stessa nota non si parli anche di alcuni capi di Stato, alcuni dei quali hanno addirittura continuato ad inviare armi ad Israele. La seconda, forse ancora più delicata, è se i nuovi deputati al Parlamento europeo accetteranno di votare una persona che sembra avere più di uno scheletro nell’armadio.