di Giuseppe Gagliano –
La proposta del Commissario europeo per la Difesa e lo spazio, Andrius Kubilius, di destinare quasi 100 miliardi di euro alla difesa nel prossimo bilancio settennale dell’Unione Europea rappresenta un cambio di passo epocale. Da soli 10 miliardi a un balzo senza precedenti: una cifra “ambiziosa”, come definita dallo stesso Kubilius, ma che riflette il profondo impatto della guerra in Ucraina sulle priorità strategiche dell’Ue.
L’invasione russa dell’Ucraina ha spezzato molte illusioni europee. L’idea di un continente che potesse prosperare all’ombra della sicurezza garantita dalla NATO, senza investire seriamente nella propria difesa, è stata demolita dalla brutalità del conflitto. Con le truppe di Mosca alle porte dell’Europa orientale, Bruxelles ha dovuto rivedere le sue priorità, ponendo la sicurezza al centro della sua agenda politica.
La richiesta di Kubilius non è solo una questione di numeri. È il tentativo di costruire una politica di difesa comune, che l’Europa ha sempre inseguito senza mai raggiungere. Per decenni, i Paesi membri hanno continuato a investire in modo frammentato, privilegiando le proprie industrie nazionali e ignorando le sinergie che un approccio comunitario avrebbe potuto offrire. Ora, con la minaccia russa e la crescente pressione degli Stati Uniti affinché l’Europa si assuma maggiori responsabilità, questa frammentazione è diventata insostenibile.
Portare i fondi per la difesa da 10 a 100 miliardi di euro non è un semplice aumento di bilancio: è una rivoluzione. Con questa somma, l’Ue potrebbe investire in tecnologie avanzate, rafforzare le capacità di difesa collettiva e sviluppare una propria autonomia strategica, riducendo la dipendenza dagli Stati Uniti e dalla NATO.
Kubilius punta a creare un’industria della difesa europea competitiva a livello globale, capace di sviluppare sistemi d’arma avanzati, come droni e intelligenza artificiale militare, e di garantire approvvigionamenti comuni. Questo obiettivo, però, richiede non solo investimenti, ma anche una volontà politica che spesso è mancata in passato.
Il piano di Kubilius non sarà facile da realizzare. Innanzitutto, c’è il problema dell’unanimità: ottenere il consenso di tutti i Paesi membri su una spesa così massiccia non sarà semplice, soprattutto in un momento in cui molti governi devono affrontare crisi economiche e sociali interne.
Inoltre esiste il rischio che il piano finisca per favorire solo alcune nazioni, come Francia e Germania, che dominano il settore della difesa europeo. Questo potrebbe alimentare divisioni tra i membri dell’Ue, rendendo ancora più difficile la creazione di una politica di difesa realmente comune.
Non va poi dimenticato il dilemma etico. Molti cittadini europei, tradizionalmente diffidenti verso il militarismo, potrebbero vedere in questa svolta un tradimento dei valori pacifisti su cui si fonda l’Unione.
L’ambizione di costruire un’Europa capace di difendersi da sola è certamente lodevole, ma non priva di rischi. Da un lato, un’UE più forte militarmente potrebbe garantire una maggiore autonomia nei confronti di attori globali come Stati Uniti e Cina, rafforzando il suo ruolo nello scacchiere geopolitico.
Dall’altro, però, c’è il pericolo che questa corsa al riarmo diventi un’arma a doppio taglio. Senza un chiaro progetto politico, il rischio è che i 100 miliardi diventino una gigantesca occasione sprecata, dispersa in progetti frammentati e inutili.
La proposta di Andrius Kubilius rappresenta un punto di svolta per l’Unione Europea, un’occasione per dimostrare che l’Europa è in grado di prendere in mano il proprio destino. Ma per trasformare questa ambizione in realtà, servirà più di un aumento di bilancio: sarà necessaria una visione condivisa, una leadership forte e una determinazione politica che finora è mancata.
Se l’Ue riuscirà a cogliere questa opportunità, potrà finalmente diventare un attore globale capace di difendere i propri interessi e valori. Altrimenti, rischia di rimanere un gigante economico con i piedi d’argilla, vulnerabile alle tempeste geopolitiche di un mondo sempre più instabile.