Ue. Voto: astensione e incertezze del potere

di Giovanni Caruselli

I giorni successivi alle tornate elettorali nei 27 Paesi della Ue, quasi tutti i mezzi d’informazione ponevano l’accento sull’alta percentuale di aventi diritto al voto che non hanno voluto fruire della fondamentale prerogativa di ogni democrazia. Le spiegazioni più ricorrenti sono state piuttosto superficiali: disaffezione per la politica, qualunquismo, sfiducia nell’Unione Europea, scarsa informazione etc. Proviamo qui a fare qualche ipotesi su cui si potrebbe lavorare per comprendere meglio il rifiuto del voto da parte di circa la metà degli elettori.

Primo punto. È abbastanza ovvio che chi vota un partito lo fa perché ne condivide il programma e spera che sia realizzato. Questo principio vale per le elezioni nazionali ma non per le europee. Nelle elezioni nazionali alla vittoria di un partito politico ci si aspetta che assuma il potere nelle sue diverse forme e attui il programma presentato. Nelle elezioni europee non è così. Anche un partito vincente in patria con la maggioranza assoluta potrà essere marginale nel contesto europeo, sia per il numero dei seggi assegnati preventivamente al Paese in questione, sia per la collocazione all’interno dei gruppi parlamentari europei. Ovviamente questo svilisce la reale efficacia del voto.

Secondo punto. Nel terzo millennio con l’avvenuta globalizzazione e lo strapotere di monopoli finanziari, energetici e mediatici, anche chi si occupa superficialmente di politica capisce che il potere dei partiti è fortemente limitato, condizionato da scelte economiche di soggetti privati che nessuno può mettere in discussione legalmente. Inoltre la turbolenta politica internazionale ha messo sotto gli occhi di tutti la debolezza di un’Europa priva di strumenti efficaci per affrontare gravi crisi politiche. Basterà pensare a tutte le conseguenze nell’ambito energetico create dall’aggressione russa all’Ucraina per capire che gli spazi di manovra dei singoli governi, e quindi dei partiti che li costituivano, erano estremamente limitati e fortemente condizionati dal contesto internazionale.

Terzo punto. Gli ultimi decenni hanno fatto emergere almeno due questioni di fronte alle quali il mondo non si era mai trovato: le migrazioni di centinaia di milioni di persone verso i Paesi più sviluppati e la questione del riscaldamento globale. Sull’immigrazione di massa è stato chiaro che le due soluzioni estreme, cioè zero tolleranza o frontiere aperte, si rivelavano insostenibili. Da qui è nata tutta una serie di equilibrismi ideologici, morali e militari che hanno dato la netta impressione di una profonda impreparazione dei politici nei confronti del problema. Il senso di impotenza, l’ansia per scelte che potrebbero rivelarsi sbagliate, il sentimento di umana pietà per le vittime dei viaggi della speranza finiti in fondo al mare o nel deserto della Libia si sono mescolati e la risposta è stata delegata a lontani decisori di cui nulla si vuole sapere.

Quarto punto. Aggiungiamo che la componente religiosa ha fatto la sua parte. Per quanto le chiese europee siano sempre meno frequentate, i fondamenti della morale di un cittadino medio europeo si ritrovano nel Cristianesimo. È stato, e forse sarà ancora, come girare il coltello nella piaga. Gli appelli di papa Francesco all’accoglienza si scontrano frontalmente con la paura di perdere quella relativa sicurezza sociale goduta da circa settant’anni a oggi negli Stati europei. L’attrattiva del benessere raggiunto può essere contrastata da una solidarietà a lunghissima durata con gruppi umani di diversissima cultura con cui si è costretti di fatto a convivere ? Crediamo veramente che il cittadino medio europeo sia in grado di dare una risposta precisa a questo quesito?

Quinto punto. La questione climatica è molto meno articolata del problema migratorio. L’attuale generazione si trova nella scomoda posizione di chi subisce le conseguenze di una sconsiderata politica inquinatrice, durata molti decenni, e al tempo stesso subisce da parte delle giovani generazioni il rimprovero di fare poco o nulla per contrastare gli effetti nocivi di scelte sciagurate. A questo punto si guarda ai politici che chiedono pesanti sacrifici a chi dovrà subire un costosissimo passaggio dalle fonti di energia fossili alle rinnovabili. Un passaggio su cui i politici stessi hanno diverse posizioni. Mentre miliardi di persone in Asia pensano di potere migliorare le proprie condizioni di vita con le tradizionali risorse inquinanti, quali che siano le conseguenze, in Europa si è pensato di percorrere a marce forzate una politica ambientale costosa e dai dubbi risultati.

Se a tutto ciò aggiungiamo la prospettiva di un processo federativo accelerato, che non tutti condividono, la disinformazione praticata da forze esterne all’Europa, l’inverno demografico al quale nessun partito da risposte convincenti, probabilmente ce n’è abbastanza per spiegare la massiccia astensione dal voto. Osservando, per finire, che anche nelle consultazioni nazionali il fenomeno è riscontrabile, sia pure in misura minore. Lo scenario così sembra favorire chi vorrebbe in qualche modo tornare al passato senza accettare il dato di fatto che la storia cambia i termini di molti problemi, richiedendo soluzioni creative e coraggiose.