di Alberto Galvi –
Il presidente ugandese Yoweri Museveni ha convertito lo scorso maggio in legge una delle proposte più repressive al mondo, imponendo severe sanzioni alle persone che hanno abitualmente rapporti omosessuali. La legge ha provocato un’ondata di indignazione da parte delle organizzazioni per i diritti umani e di molti paesi occidentali, ma anche paura tra le persone gay, molte delle quali stanno lasciando il paese. Gruppi per i diritti dei gay affermano hanno riferito di aver avuto nelle ultime settimane numerose richieste di aiuto. La legge ha sollevato preoccupazioni tra i pazienti e gli operatori sanitari per il rischio di denuncie, e chiunque venga ritenuto colpevole di promuovere l’omosessualità rischia oggi fino a 20 anni di carcere. È inoltre previsto un divieto di dieci anni per le organizzazioni accusate di promozione attività omosessuali.
Circa il 35 per cento delle persone che hanno accesso ai servizi di prevenzione dell’HIV non si reca più in clinica, mentre anche il 10 per cento di coloro che avevano bisogno di farmaci antiretrovirali ha interrotto la cura, con il conseguente aumento della carica virale aumenta e a sua volta del rischio di trasmissione della malattia.
Il ministero della Salute ha ordinato ai centri sanitari di garantire che nessuno venga discriminato o che non vengano negati i servizi medici. Ma questo non è riuscito a rassicurare chi lavora sul campo. L’UNAIDS (United Nations Programme on HIV/AIDS) e il Fondo globale per la lotta all’AIDS, alla tubercolosi e alla malaria hanno avvertito che i progressi dell’Uganda nella lotta contro l’AIDS sono seriamente minacciati da questa nuova legislazione.