Usa 2020: Trump accetta la nomination per ‘Rendere di nuovo grande l’America’

Ma il suo discorso è tutto contro i democratici. E pesano come macigni i fallimenti.

di Enrico Oliari

E’ ancora una volta il “sogno americano” al centro del comizio di Donald Trump nei giardini della Casa Binaca. I mille invitati, riscaldati dai proclami a dire il vero ripetitivi del Tycoon, urlavano e si alzavano in piedi quando arrivavano gli attacchi ai democratici e al candidato Joe Biden, accusato di voler distruggere in nome di un socialismo serpeggiante quell’”American Dream”, di cui lui, Donald Trump, è il massimo paladino.
In questa convention sui generis, con due maxi schermi per sottolinearne il discorso roboante, Trump ha accettato formalmente la candidatura repubblicana per un nuovo mandato e per procedere con il suo programma di “America first”. Alle sue spalle pochi successi fatti di guerra commerciale alla Cina e di stop ai migranti, di abolizione delle riforme del predecessore Obama e di Gerusalemme capitale. Ma anche tanti fallimenti, a cominciare da quel muro al confine meridionale che avrebbe dovuto pagare il Messico ma che così non è stato; poi vi sono stati il fallimento dei colloqui con il nordcoreano Kim, le trattative con i talebani per quel nuovo Vietnam che si chiama Afghanistan, i produttori statunitensi in ginocchio per le contromisure sui dazi, scandali colossali come il Russiagate che hanno ingabbiato metà dei suoi collaboratori, e si potrebbe continuare a lungo per arrivare alla pessima gestione della crisi pandemica, con gli Usa paese più colpito al mondo: oggi siamo a quali 6 milioni di contagi e a 182mila morti. Ma su questo punto Trump si è detto convinto che “sconfiggeremo il virus, porremo fine alla pandemia ed emergeremo più forti che mai”, anche perché “produrremo un vaccino entro la fine dell’anno, e forse anche prima!”. Un’ovazione. Nonostante la sua figuraccia di quando ha chiesto ai tecnici se sarebbe potuto andar bene bere disinfettanti, e nonostante l’incapacità di coordinare una risposta adeguata, con i governatori che agivano ciascuno di sua iniziativa.
Per Trump il concorrente Joe Biden è un “becchino” che nel caso di vittoria distruggerà la grandezza degli Usa demolendo il sogno americano. Anzi, saranno queste elezioni a decidere se ancora vi sarà un sogno americano, se “il nostro amato destino verrà distrutto dall’agenda socialista, la quale darà il paese in mano agli anarchici e ai criminali”.
“Possono – si è chiesto il presidente in carica – i democratici guidare questo paese nel momento in cui passano ogni minuto del loro tempo a distruggerlo?”. “Nessuno – ha insistito – sarà al sicuro nell’America di Joe Biden”, come se la sua amministrazione si fosse distinta per l’ordine e come se i tanti casi come quello dell’infervorato 17enne Kyle Rittenhouse, che due giorni fa ha ucciso a colpi di fucile due manifestanti nel Wisconsin fossero robe di altri pianeti. E poi ci sono le violente proteste per il grilletto facile della polizia bianca sui sospetti criminali neri, come per l’afroamericano Jakob Blake, spinto in un auto da un poliziotto e poi ferito da sette colpi di pistola a sangue freddo.
Fatti che sono sotto gli occhi di tutti, e che fanno dell’”America first” di Donald Trump un modello a cui sempre in meno credono, tanto che si mantiene sui 10 punti il distacco da Biden. E’ vero: Trump ha aumentato i posti di lavoro, ma come avevano previsto diversi analisti si sarebbe trattato di una bolla occupazionale, che con l’andare del tempo avrebbe lasciato senza lavoro (e senza copertura sanitaria) milioni di americani. E così sta avvenendo, al di là dell’emergenza Covid-19.
Tuttavia Trump ha dimostrato già nel 2016 di essere il candidato in grado di estrarre l’asso dalla manica, ed il suo slogan “Make America Great Again!” (Rendere di nuovo grande l’America) potrebbe far sognare una buona parte dei molti elettori indecisi.