di Francesco Giappichini –
Presidenziali degli Stati Uniti del 5 novembre: i due maggiori candidati stanno contendendosi il voto dei latinos, ossia dei cittadini statunitensi registrati nelle liste elettorali, e di origine latinoamericana, con strategie mirate e un impegno senza precedenti nella storia della Nazione. Del resto il peso demografico, oltre che economico e politico, di questo settore della popolazione è in costante crescita da decenni, e si prevede che da quest’anno sarà in grado di orientare il risultato elettorale. E un titolo azzeccato del quotidiano madrileno “El País” si é trasformato in un mantra della campagna elettorale: «Nadie puede ganar sin ellos», “Nessuno può vincere senza di loro”.
Così la maggiore tra le minoranze, la comunità latina, sarà decisiva nonostante mille ostacoli; dalle difficoltà per la registrazione che gravano soprattutto sui nuovi cittadini, alla voter suppression (soppressione del voto): l’insieme di quelle strategie, formalmente lecite, per escludere dal voto certe fasce del corpo elettorale. E’ indubitabile, infatti, che queste pratiche, pur impiegate da ogni parte politica, siano state usate in prevalenza per neutralizzare e annacquare il voto delle minoranze etniche. Un po’ com’è avvenuto (e avviene) col ricorso al gerrymandering, in occasione delle elezioni legislative: in questo caso, si tratta del ridisegno strumentale dei confini dei collegi elettorali, per incidere sull’esito del voto.
Se è dunque vero che questa fascia dell’elettorato ha fatto registrare i maggiori indici di astensionismo, tuttavia ciò non può essere imputato solo a una presunta apatia politica. A dimostrare la forza del voto latino è lo stesso ex capo dello stato Donald Trump, il cui staff ha lanciato un spot elettorale dal titolo «Que mala eres, Kamala»; si riprende lo storico brano “Juliana”, cantato dal dominicano Cuco Valoy, al secolo Pupo Valoy Reynoso. Dall’altro lato la vicepresidente Kamala Harris ha stilato una serie di punti programmatici, specificamente indirizzati agli uomini e ai più giovani: coloro che sarebbero più propensi a farsi abbindolare dalle sirene repubblicane, se vogliamo usare gli slogan della propaganda democratica.
In particolare l’ex procuratore distrettuale si è concentrata sulla proposta di un’«economía de oportunidades», che sarebbe caratterizzata da esenzioni fiscali, e soprattutto sull’impegno dell’Amministrazione Biden per cancellare i debiti studenteschi federali. Scontato poi l’attacco al rivale e al Project 2025: a suo giudizio, il programma conservatore dell’Heritage foundation, elaborato da analisti vicini a Trump, metterebbe a rischio quella scuola pubblica, ove uno studente su quattro ha origine latina. Andiamo però con ordine, per identificare i record di un voto determinante per il futuro corso politico del Paese. Secondo una ricerca del centro studi Pew research center (Pwc), con sede a Washington, potranno registrarsi 36 milioni e 200mila di latinos; un numero che rappresenta il 14,7% dell’elettorato potenziale nazionale, cioè della popolazione che ha diritto alla voter registration.
Si tratta di un dato in forte crescita rispetto all’appuntamento del 2020, quando l’elettorato latino raggiungeva quota 32 milioni e 300mila, pari al 13,6% del totale, (l’aumento è pari a un milione e 400mila nuovi aventi diritto, ogni anno). Nell’occasione, secondo le stime dello stesso Pwc, avrebbe votato per l’attuale presidente Joe Biden il 59% della platea, e tuttavia Trump sarebbe comunque riuscito a conquistare una fetta record di elettori ispanici. Secondo un altro istituto invece Biden avrebbe ottenuto il 61%, superando il candidato del Grand old party (Gop) fermo al 36. E se si osserva il totale dei potenziali neo elettori (rispetto alle presidenziali 2020), emerge come la metà di essi abbia ascendenza latinoamericana.
Ovviamente i confronti appaiono ancor più sorprendenti se si considera l’elezione del 2000, in cui l’ex presidente George Walker Bush ebbe la meglio di misura sull’ex vicepresidente Al Gore. All’epoca i latinos al voto furono 14 milioni e 300mila, pari al 7,4% dei votanti, (un dato oggi cresciuto del 153 per cento). La maggior parte del segmento vive nello Stato della California: secondo dati del 2022, si tratta di otto milioni e mezzo di cittadini, che rappresentano circa la quarta parte dell’elettorato nazionale latino. Seguono poi il Texas con sei milioni e mezzo e la Florida con tre e mezzo. Staccati New York e Arizona, con rispettivamente due milioni e 200mila e un milione e 300mila.
Se i suddetti cinque Stati federati ospitano il 65% di questa minoranza, circa l’incidenza percentuale il quadro è diverso. Spicca, infatti, il caso del New Mexico, ove i latinos raggiungono la quota monstre del 45%; e in più si tratta dell’unica entità della federazione ove questa etnia è maggioritaria. A seguire la California col 33 e il Texas col 32, che precedono Arizona e Nevada (25 e 22, rispettivamente). E per avere un quadro più completo, i dati sull’elettorato potenziale debbono leggersi in combinato con i numeri sui residenti. Emerge così che solo il 53% dei latinos legalmente residenti, ha i titoli per la registrazione; e ciò è dovuto alla minore età e alla mancanza di cittadinanza.
In particolare emerge che il 30% dei latinos residenti è minorenne, e che uno su cinque non è un cittadino statunitense; o almeno, non lo è ancora. Resta da capire verso quale parte gli hispanos sposteranno l’ago della bilancia; sempreché, come si pronostica da più parti, il loro tasso di affluenza risulti sensibilmente al di sopra del 50 per cento. Come accennato, si sono storicamente orientati verso i candidati del Democratic party, anche se il margine si è progressivamente ridotto. Ad oggi, secondo l’ultimo sondaggio riservato solo alle formazioni politiche, preferirebbero il Partito democratico, rispetto al Republican party: 44 a 32, il dato numerico. Né mancano gli studi dedicati alle priorità politiche dei latini simpatizzanti del Partito repubblicano, per verificarne il grado di fedeltà. Ebbene, emerge che i latinos trumpiani, sul tema migratorio, sostengono posizioni meno rigide: sia in riferimento al controllo delle frontiere, sia alla delicate questioni delle espulsioni e delle legalizzazioni; mentre auspicherebbero maggiore severità sulla questione delle armi. Può inoltre stupire come questo elettorato sia considerevolmente più sensibile, rispetto al campione generale, alle urgenze ambientali, incluse quelle legate al riscaldamento globale. Infine un sguardo ai sette Battleground state (gli Stati in disputa). Secondo gli ultimi sondaggi, in Arizona e Georgia prevarrebbe di misura Trump, mentre in Carolina del Nord, Nevada, Wisconsin, Pennsylvania e Michigan si registra un lieve vantaggio per Harris; e se un simile quadro fosse confermato, la vittoria della vicepresidente sarebbe piuttosto ampia. Ebbene, come scritto, i latinos saranno molto influenti sia in Nevada sia in Arizona, dove gli sfidanti sono distanti solo pochi decimi di punto.