Usa. Età dell’oro? No. Nuovo darwinismo? Sì

di Giovanni Caruselli

L’insediamento di Trump alla Casa Bianca ha scatenato una pletora di catastrofisti e di cassandre che si dimenticano che il sistema politico americano funziona un po’ come un pendolo che oscilla più o meno alla stessa velocità verso destra e verso sinistra. Gli americani probabilmente hanno votato per The Donald perché hanno visto in lui una determinazione nel perseguire gli interessi della nazione maggiore di qualunque altro possibile presidente in questo momento. Il piccolo gruppo di famosissimi plurimiliardari, Elon Musk, Jeff Bezos, Tim Cook e Mark Zuckerberg hanno semplificato visivamente l’ammonimento dell’ex presidente Biden nel suo ultimo discorso alla nazione: mai gli Stati Uniti avevano visto un governo sostenuto da un potere economico quasi illimitato e forse non particolarmente intenzionato a tutelare la nazione e l’intera famiglia umana. Biden ha bollato con il termine oligarchia il prossimo governo di una nazione che ha sempre vantato d’essere governata da un sistema, magari complesso e burocratico, e anche socialmente discriminatorio, ma sicuramente democratico, una nazione in cui si tengono Stato per Stato referendum popolari sulle questioni più disparate, una nazione in cui alcune cariche della magistratura sono elette dal basso, in cui la libertà di parola e di opinione è garantita dalla legge più che in qualunque altro Paese del mondo. Biden sicuramente aveva presente il discorso di commiato con il quale nel 1961 Dwight Eisenhower avvertì il popolo degli Stati Uniti che un “complesso militare e industriale incominciava a fare sentire la sua ingiustificata influenza, voluta o non richiesta, sulle scelte del Paese”. Così si esprimeva colui che aveva guidato il popolo americano ad affrontare enormi sacrifici pur di non far cadere buona parte del mondo sotto il nazismo.
Ma ciò che avanza oggi nel Paese guida dell’occidente libero costituisce forse una minaccia maggiore di quella a cui Eisenhower si riferiva. La forza delle armi sarebbe eguale a zero se non avesse alle spalle una finanza globale strapotente il cui obiettivo più o meno dichiarato è quello di andare al di là della democrazia per consegnare il destino dei popoli alla tecnocrazia. L’operazione non è facile ma è già in corso. Il primo passo è abituare la gente a non pensare, o abituarla ad occupare il proprio tempo “divertendosi” con gli strumenti di comunicazione sempre più invadenti che la tecnologia mette a disposizione. Si tratta di una concezione della vita come una “risata ininterrotta” dalla culla alla tomba, tanto artificiale e non voluta quanto è il solletico continuo di una piuma alle ascelle. Il possesso delle tecnologie della comunicazione, generalmente denominate media, è stato definito un mezzo di distrazione di massa pericolo e purtroppo vincente. Si tratta di convincere tutti che se proprio si vuole continuare a credere che lo scopo della vita sia l’autorealizzazione, questa si può ottenere solamente obbedendo a poteri superiori che ci interpellano con apparente gentilezza. Chi non ha notato che l’uso dell’imperativo è diventato normale nei cosiddetti “social” ? E chi non ha notato che le notizie palesemente false superano liberamente i limiti della decenza e producono come risultato una forte percezione di incertezza nel cittadino comune. La sensazione di impotenza spinge inevitabilmente a obbedire a un potere che evita di affrontare la complessità della vita moderna e fornisce risposte semplici a problemi complessi, sulle quali non è dato ragionare. Gli slogan sono divenuti le linee guida del comportamento quotidiano e l’America First di Trump alla fine ha convinto la maggioranza degli americani. Il neopresidente ha detto che sta per iniziare una nuova età dell’oro, ma se chi lo ha ascoltato avesse pensato solo per qualche secondo avrebbe potuto obiettare che se ciò accadrà sarà stato merito di chi ha governato fino ad oggi e non di chi deve ancora incominciare a governare. Ma l’effetto emotivo e l’attrazione per l’uomo forte superano di gran lunga l’efficacia della razionalità umana. Così le speranze diventano certezze e l’età dell’oro sicuramente sta per rendere felici… chi ?
E qui si penetra nel cuore dell’ideologia sovranista pura, che si richiama in qualche modo al darwinismo, o sarebbe meglio dire a un’interpretazione del darwinismo estremamente strumentale. Secondo la dottrina evoluzionistica ottocentesca il meccanismo fondamentale della natura è il rapporto fra il vivente e l’ambiente. Le piccole differenze fra i viventi fanno sì che chi si rivela più adatto all’ambiente in cui vive, potrà nutrirsi meglio e generare una prole più numerosa. Il contrario avverrà per gli individui che si adattano con difficoltà all’ambiente. Se questo principio vale per l’ambiente umano, gli individui meno capaci di adattarsi all’ambiente sarebbero destinati a fare spazio, forzatamente, ad altri che li superano in questa capacità. Equiparando l’ambiente naturale alla società umana su scala planetaria non è difficile capire quale possa essere l’aspetto principale dei rapporti sociali: la competizione per sopravvivere e fare sopravvivere la prole. Il Novecento aveva visto drammatiche competizioni militari fra Stati, competizioni economiche fra classi sociali, competizioni culturali e artistiche. Dopo il secondo conflitto mondiale la competizione che era consistita nella guerra fredda fra due avversari, oggi torna a essere più caotica e coinvolge altri contendenti.
Nello slogan America First è sintetizzato questo impianto concettuale, che è assolutamente in linea con l’”eccezionalità” del popolo americano, come popolo eletto da Dio. Ma il neodarwinismo alla cui nascita assistiamo da qualche decennio non prevede l’asservimento dei popoli senza il loro consenso all’asservimento stesso. Al contrario, se prevale la convinzione secondo cui la felicità presuppone i progressi della tecnologia che è opera di poche menti, i cosiddetti visionari, allora è quasi obbligatorio sottomettersi remissivamente ad essi anche a costo della propria libertà. Perché ciò si realizzi occorre un ingrediente fondamentale, cioè l’esaltazione dell’istinto gregario, cioè il trionfo dei “like”. Con questo termine si intende l’apprezzamento di massa che si rivolge a personaggi pubblici più o meno noti seguendo accettando come degne di ciò notizie e immagini più o meno vere o completamente false. Sempre più difficile diventa distinguere realtà e messe in scena, finalizzate di solito a utili economici. È noto che sia nel mondo animale che in quello umano rientrare in un gruppo di individui affini significa percepire una maggiore sicurezza personale. Nel mondo umano si chiama conformismo o omologazione. Se poi l’affinità viene costruita artificialmente poco importa e poco incide sulla psicologia dell’uomo moderno. I sistemi totalitari avevano aperto felicemente la strada a questa pratica, ma non disponevano degli strumenti che la tecnologia ci ha dato e che possono trasformare l’affinità in abitudine al comportamento gregario. Si tratta di una specie di apoteosi dell’obbedienza di fronte alla quale Orwell 1984 ci appare di un’ingenuità disarmante. L’individualità, la diversità, l’originalità, lo spirito creativo devono diventare un appannaggio dei visionari che guidano il popolo e che con Trump si presentano con tutto il loro potere economico, mediatico e inevitabilmente politico.
America First è la parola d’ordine di Trump, gli altri si regolino di conseguenza. Ma l’isolazionismo molto raramente ha fornito buoni esiti e tanto meno oggi, nell’epoca in cui i mercati internazionali sono talmente interconnessi da risentire anche di piccoli mutamenti di rotta dei singoli Stati. Con nuovi dazi e nuove corse agli armamenti sarà difficile evitare nuove guerre, ma ci conforta il fatto che in quattro anni The Donald non arriverà a compiere scelte irreversibili.