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Davanti al Senato, chiamato a convalidare la nomina del presidente Trump, l’ambasciatore in Israele in pectore David Friedman ha smorzato i toni delle settimane scorse, arrivando persino a scusarsi per certe uscite tenute in occasione della campagna elettorale.
“La retorica incendiaria che ha accompagnato la campagna presidenziale è finita – ha detto in audizione – non ci sono scuse. Sono state parole offensive di cui mi pento profondamente”. Il riferimento era in particolare a quel “kapò” indirizzato agli ebrei liberali statunitensi, ma anche sui toni accesi riservati ai palestinesi.
Ebreo ortodosso, l’ormai prossimo ambasciatore ha affermato nelle scorse settimane l’intenzione di andare a vivere a Gerusalemme dove sta lavorando per portare l’ambasciata Usa, per quanto l’implicito riconoscimento di Gerusalemme quale capitale di Israele comporterà certamente la reazione di tutto il mondo arabo.
Durante l’audizione un manifestante si è alzato sventolando la bandiera palestinese e urlando “Vinceremo, signor Friedman. Noi c’eravamo, ci siamo e ci saremo sempre. I palestinesi rimarranno sempre in Palestina”.