di Giuseppe Gagliano –
Il National Counterterrorism Center (NCTC) degli Stati Uniti ha lanciato un nuovo avvertimento: al-Qaeda, a quasi un quarto di secolo dall’11 settembre, continua a rappresentare una minaccia concreta per la sicurezza nazionale americana. Nonostante la pressione militare, le campagne di droni in Medio Oriente e Africa, l’uccisione dei leader storici e il rafforzamento degli apparati di intelligence, la rete jihadista non solo sopravvive, ma cerca di rilanciare la propria propaganda sfruttando guerre regionali e conflitti che vedono coinvolti gli Stati Uniti.
Secondo l’NCTC, la principale arma di al-Qaeda oggi non è tanto l’organizzazione di complesse operazioni come quelle del 2001, quanto la capacità di ispirare attacchi individuali o di piccoli gruppi attraverso le proprie pubblicazioni online. L’obiettivo non è solo colpire obiettivi militari, ma generare panico nella società americana: eventi sportivi, concerti, luoghi affollati. Una strategia a basso costo, capace però di generare un alto impatto mediatico. È la logica della guerra asimmetrica: con mezzi limitati, costringere un gigante come gli Stati Uniti a mobilitare enormi risorse per la sicurezza interna.
Ogni allerta terroristica comporta costi notevoli: rinforzo dei controlli, intelligence, apparati di sorveglianza, esercitazioni preventive. Gli Stati Uniti spendono ogni anno centinaia di miliardi di dollari per il Dipartimento della Sicurezza Interna, e ogni nuova “minaccia” alimenta questo sistema. È il paradosso della guerra al terrorismo: anche quando il nemico appare indebolito, il solo fatto che continui a rivendicare azioni o a lanciare proclami produce un flusso costante di spese e giustifica l’espansione del complesso militare-industriale e di sicurezza.
Il ritorno di al-Qaeda sulla scena non può essere letto solo in chiave americana. In Yemen, la sua branca AQAP sfrutta il caos della guerra civile per rafforzarsi, mentre in Africa subsahariana cellule jihadiste operano in Sahel, Somalia e Corno d’Africa. In Afghanistan, il ritiro statunitense del 2021 ha lasciato spazi di manovra ad al-Qaeda e gruppi affiliati, che ora si intrecciano con le dinamiche talebane. Ogni crisi regionale – che si tratti di Gaza, Siria o Sahel – diventa terreno fertile per riattivare la narrativa jihadista.
L’allerta del NCTC va letta anche come parte della strategia americana per riaffermare il ruolo degli Stati Uniti come leader della lotta al terrorismo internazionale. Nel contesto attuale, segnato dalla rivalità con Cina e Russia, mantenere alta l’attenzione sul jihadismo significa ribadire che Washington resta indispensabile come garante della sicurezza globale. È un messaggio rivolto non solo all’opinione pubblica interna, ma anche agli alleati NATO e ai partner mediorientali.
A quasi 25 anni dall’11 settembre, al-Qaeda non ha la stessa capacità operativa del passato, ma sopravvive come “marchio” e come idea. È sufficiente a generare allarme, ad attrarre giovani radicalizzati, a imporre agende di sicurezza. In questo senso, la minaccia terroristica si è trasformata in un fenomeno geoeconomico e geopolitico: alimenta industrie della sicurezza, condiziona le politiche migratorie, influenza le alleanze internazionali. È una guerra che non si combatte più solo con armi convenzionali, ma con flussi finanziari, tecnologie di sorveglianza, propaganda e narrativa politica.
L’avvertimento del NCTC non deve essere sottovalutato, perché il terrorismo resta capace di colpire. Ma allo stesso tempo mostra come il fenomeno si sia istituzionalizzato nella vita politica americana. Ogni ritorno di al-Qaeda alimenta la macchina della sicurezza e ricorda al mondo che l’America, nonostante guerre perse e ritiri umilianti, continua a presentarsi come il baluardo contro una minaccia globale. Il rischio, però, è che questa “guerra infinita” diventi una prigione strategica, dove il nemico serve più come giustificazione interna che come avversario reale.












