Usa. La “nuova” dottrina Trump

di Emanuele Molisso

Il 47mo presidente della storia degli Stati Uniti d’America sarà Donald Trump, al suo secondo mandato dopo quello del quadriennio 2016-2020. Lo scenario geopolitico, da quel momento, muterà rapidamente e costantemente. Cina, Medio Oriente, Europa e Nato sono le sfide che il tycoon dovrà affrontare in politica estera.

America First.
Ora che Donald Trump ha vinto la corsa elettorale, in molti, sia in patria che all’estero, aspettano con trepidante attesa la sua dottrina in politica estera.
La scelta, ampiamente affermata negli ultimi comizi elettorali, è quella di riprendere da dove egli ha lasciato durante il suo primo mandato: l’America First di jacksoniana memoria. Una dottrina basata nuovamente sull’isolazionismo e la sempre meno propensione statunitense al multilateralismo e alla collaborazione internazionale.

Il teatro europeo.
La politica estera trumpiana si rivelerà fondamentale per l’Europa. La questione principale rimarrà il conflitto russo-ucraino il quale, secondo le parole del tycoon, sarebbe finito dopo sole 24 ore con lui alla Casa Bianca. Trump non ha nascosto la volontà di non voler sovvenzionare con ulteriori armi l’Ucraina e crede fortemente che una pace si possa raggiungere solamente con la cessione dei territori ucraini occupati alla Russia, ma contro quest’ultima, nonostante l’ammirazione che egli ha ripetutamente espresso per la figura del presidente russo Vladimir Putin, dovranno restare in vigore le sanzioni odierne.
Gli europei finirebbero per avere poca voce in capitolo. Un modus operandi a cui si dovrà abituare, nuovamente, anche la NATO. Quest’ultima è da sempre il bersaglio delle critiche di Trump, il quale ha ribadito nuovamente che i membri della NATO non rispettano i loro obblighi di spesa per la difesa. Ed è per questo che all’interno della sua amministrazione si è iniziata a paventare l’idea di un riorientamento e di un ripensamento del ruolo della NATO. Ripensamento che secondo alcuni funzionari dell’amministrazione trumpiana, dovrebbe portare ad inserire una regola di spese militari, pari al 2%, per tutti gli stati membri della NATO, i quali così facendo si troverebbero ad essere ancora protetti dall’ombrello di difesa statunitense.
A rischio è anche l’accordo sul clima di Parigi. Nel Project 2025, realizzato dal think-tank Heritage Foundation, è stato posto come obiettivo della presidenza Trump il ritiro dall’accordo di Parigi e l’eliminazione di tutti i regolamenti e di tutti i programmi rivolti a combattere il cambiamento climatico. Una decisione per continuare ad utilizzare i combustibili fossili e quindi per non arrecare ulteriori svantaggi alla competitività dell’industria americana.

La Cina e l’economia.
Trump ha assunto una posizione dura contro la Cina durante la sua campagna elettorale, ed è risultata la posizione più chiara e centrale del suo programma di politica estera. Trump ha proposto l’imposizione di un dazio universale del 10% su tutte le importazioni, per la Cina si arriverebbe ad un 60% con l’obiettivo di proteggere l’industria statunitense e per ridurre la dipendenza dagli approvvigionamenti stranieri. Un decoupling in piena regola, pronto ad attuarsi per mezzo di alte tariffe, restrizioni all’export e soprattutto sui paesi terzi, anche quelli europei, per far ridurre i loro affari con Pechino nei settori più sensibili, come quello tecnologico.
Non è chiara la volontà di Trump di sostenere la difesa dei partner asiatici degli Stati Uniti. Né è chiara la sua volontà di difendere Taiwan da un assalto cinese, visto che egli ha affermato che Taiwan dovrebbe pagare la difesa fornita dagli Stati Uniti d’America. Allo stesso tempo il neopresidente ha affermato che la Cina non invaderà mai la democratica isola di Taiwan, con lui al potere. Un’ambiguità nelle dichiarazioni che segue la scia di complimenti che comunque Trump ha riservato alla figura del presidente cinese Xi Jinping.

Il Medio Oriente: Israele ed Iran.
Con Israele Trump ha confermato la sua politica di “amicizia”. Infatti non è un caso che il premier israeliano Benjamin Netanyahu abbia definito Trump come il più grande amico che Israele abbia mai avuto all’interno della Casa Bianca. Trump ha già parlato di dare carta bianca ad Israele per continuare le sue azioni a Gaza e in Libano, per raggiungere i due obiettivi vitali per lui nella regione: la politica di massima pressione contro l’Iran e l’apertura degli accordi di Abramo all’Arabia Saudita.

Quale futuro?
In conclusione, predire quale sarà la nuova dottrina Trump per la politica estera appare difficile per via delle turbolenze che la figura del tycoon affronterà prima internamente e successivamente, anche esternamente.
La sua visione strategica, seppur ancora priva di dettagli ben chiari, sembra comunque orientata riprendere la sua dottrina del primo mandato alla Casa Bianca e quindi orientata ad una maggiore indipendenza economica ed energetica, ad una riduzione degli impegni internazionali lì dove Trump non li riterrà degli obiettivi strategici e vitali per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti d’America