Usa. Las Vegas: le lacrime di un popolo in armi

di C. Alessandro Mauceri

È salito a 59 morti e 527 feriti il bilancio della strage al concerto di musica country a Las Vegas causata dal folle gesto del 64enne Stephen Paddock, ma si teme che il loro numero sia destinato ad aumentare. E le conseguenze sarebbero potute essere ancora più gravi: la polizia ha rilevato che il killer aveva nella sua automobile nitrato di ammonio, un composto chimico utilizzato anche per produrre esplosivi, e un totale di 42 armi nella camera d’albergo e in casa.
Quanto avvenuto ha inevitabilmente riaperto l’annoso dilemma riguardante il diritto negli Usa a possedere un’arma da fuoco. Il presidente Donald Trump ha detto che Paddock “era una persona malata”. “Parleremo di legge sulle armi col passare del tempo”, ha aggiunto. Forse dimenticando che non più di un anno fa, in piena campagna elettorale per la Casa Bianca, lui stesso aveva sostenuto il diritto a possedere armi da fuoco e aveva promesso che “Quando sarò presidente abolirò subito le gun free zone”, incassando l’appoggio elettorale della potente lobby dei produttori di armi del paese dove, dal 2009 al 2016, la spesa in armi e munizioni ha raggiunto i 46 miliardi dollari!.
Si tratta di una questione scottante dato che negli Usa ogni anno le vittime di scontri a fuoco sono decine di migliaia, 36.252 nel 2015, quasi cento al giorno. Eppure Donald Trump, alfiere della lobby delle armi, da sempre si è battuto per la loro liberalizzazione. Ovunque, anche negli uffici pubblici, nelle basi militari e perfino nelle chiese. “Hillary (Clinton, n.d.r.) vuole togliervi le pistole. Vuole che la gente non si difenda, vuole abolire il secondo emendamento della nostra Costituzione e vuole liberare pericolosi criminali. Noi non lo permetteremo, gli americani hanno il diritto di difendersi al cento per cento”.
L’arsenale di cui disponeva l’ultimo autore di una strage con le armi da fuoco ha riaperto la questione. Possibile che una persona chiaramente disturbata di mente avesse a disposizione un simile arsenale? Davvero negli Usa è così facile entrare in possesso di armi da fuoco così potenti (Paddock avrebbe utilizzato un fucile d’assalto AK-47 modificato per essere automatico, nonostante le armi automatiche fossero vietate negli Usa? O il numero elevato di morti deriva solo dal fatto che ha sparato su una folla assiepata di persone, come proverebbe il fatto che per compiere questa strage sono bastati al killer nove secondi?
A fornire una risposta al questo quesito, forse, è l’elenco delle armi e l’arsenale che gli investigatori hanno trovato a disposizione di Paddock: 42 armi da fuoco, cioè 23 pistole all’interno della stanza dell’hotel Mirage di Las Vegas e altre 19 pistole nella sua casa a Mesquite, a due ore di distanza da Las Vegas, e poi migliaia di munizioni e dell’esplosivo incusa della tannerite, una miscela di nitrato e percolato di ammonio.
Quasi a giustificare quanto è avvenuto, come pure il fatto che nessuno si fosse insospettito dell’arsenale a sua disposizione, lo sceriffo Joseph Lombardo ha affermato che “Non sappiamo come avremmo potuto prevenire questa strage”. “Questo individuo era un lupo solitario e non so davvero come avrebbe potuto essere fermato”, ha aggiunto. Ed ancora, “Non posso entrare nella mente di uno psicopatico in questo momento”, sottolineando che prima dell’attacco di domenica sera Paddock non aveva fatto nulla che potesse insospettire le autorità e che non è stata ritrovata alcuna lettera o dichiarazione che potesse spiegare le ragioni della strage. Pare non esistessero motivazioni economiche: il fratello minore Eric ha dichiarato sorpreso che “aveva fatto una fortuna nel settore immobiliare”. (…) Era un uomo qualunque, qualcosa deve essere successo, deve aver perso la testa, siamo scioccati”. Uno che amava andare in crociera e amava spendere i suoi soldi alle slot-machine. Aveva anche preso la licenza per pilotare gli aerei, cosa che confermerebbe che si trattava di una persona assolutamente sana di mente. Al punto di non aver mai destato sospetti, a differenza del padre, Benjamin, che tra la fine degli Anni ’60 e l’inizio degli Anni ’70 era stato iscritto nella lista dei grandi ricercati dell’Fbi, accusato di essere uno “psicopatico, in possesso di armi da fuoco usate durante le rapine”.
È proprio questo il punto. Ogni volta che avviene una strage, le autorità appaiono sorprese e dichiarano che niente avrebbe lasciato pensare che l’autore di questi delitti avrebbe potuto usare le armi che aveva acquistato (legalmente) e modificato (illegalmente) per ammazzare decine e decine di persone.
Ma il nocciolo della questione sono proprio i permessi da loro richiesti e concessi per l’acquisto e il porto d’armi. Negli Stati Uniti queste regole variano sensibilmente da stato a stato, ma alcune di base sono stabilite a livello federale. I controlli preventivi per gli acquisti di armi, i cosiddetti “background check”, vengono effettuati principalmente nei negozi: il cliente deve compilare un modulo del Bureau of Alcohol, Tobacco, Firearms and Explosives (Atf), con i propri dati anagrafici e rispondere a un questionario (domande che riguardano eventuali precedenti penali, l’uso di farmaci e informazioni sul proprio stato di salute mentale). Una volta compilato velocemente il modulo, il venditore lo trasmette all’FBI per un controllo incrociato sul conto dell’acquirente: la procedura richiede di solito un paio di giorni ma è raro che porti al divieto di vendere l’arma, alcune stime parlano meno dell’1 per cento di divieti dopo un controllo preventivo. Il problema è che negli Stati Uniti ci sono migliaia di negozi in cui si possono acquistare le armi. Anche in aree dedicate dei grandi supermercati o durante fiere di armi organizzate praticamente ogni settimana in molti stati. Senza contare che in alcuni stati si può acquistare un’arma direttamente da un privato cittadino. Addirittura, durante la campagna di Trump, si era avanzata l’ipotesi di consentire la vendita di armi per corrispondenza. Non possono acquistare armi i fuggitivi, i tossicodipendenti e le persone con disturbi psichici riconosciuti. Il risultato è un giro d’affari spaventoso e un arsenale che fa paura: secondo le stime, le armi da fuoco circolanti negli USA sarebbero circa 310 milioni!
Il fulcro della questione è che non ciene considerato il “diritto a difendersi”, ma il fatto che possano liberamente circolare armi facilmente modificabili per diventare mezzi di distruzione di massa e soprattutto che i controlli siano così “leggeri”. Da anni si parla di adottare regole più severe, ma ogni volta contro queste proposte si levano orde di oppositori che urlano che costituirebbero una grave limitazione al secondo emendamento della Costituzione americana, il quale sancisce il diritto per ogni cittadino ad avere un’arma, e in generale, alla libertà personale. Lo stesso è avvenuto lo scorso anno dopo la strage di Orlando, che aveva sollevato lo stesso polverone di ieri. Alcuni senatori democratici fecero ostruzionismo in Senato (per 15 ore) e chiesero la revisione delle leggi federali per limitare la vendita delle armi a chi è sospettato o rientra nelle liste dell’FBI o in quelle di altre agenzie di sicurezza. La loro accorata richiesta non ebbe successo: 53 senatori repubblicani e un democratico votarono contro, mentre 45 democratici e un repubblicano a favore (per essere approvato l’emendamento necessitava di 60 voti). La proposta, che prevedeva, tra l’altro, di negare la vendita di armi a persone sospettate o note per essere legate al terrorismo o nel caso in cui il loro acquisto fosse stato riconducibile ad attività di terrorismo, o a piani per condurre un attentato, venne bocciata.
Oggi, dopo l’ennesima strage, si torna a parlare di diritto a possedere e portare armi da fuoco. Si tratta di lacrime di coccodrillo. Trump ha dichiarato che “È stato un atto di pura malvagità”, limitandosi a ordinare di issate le bandiere a mezz’asta. In precedenza su Twitte l’inquilino della Casa Bianca aveva scritto che “Le mie condoglianze più care e il mio affetto alle vittime, e alle loro famiglie, della terribile sparatoria a Las Vegas. Dio vi benedica!”. L’ennesima ostinata, inutile frase di rito. Un augurio che di certo non rincuora i parenti delle 30mila vittime all’anno di scontri a fuoco. E nemmeno quelli delle persone finite nel mirino di un indiiduo malato al quale nessuno, in America, è stato capace di impedire di possedere un arsenale. E di usarlo.

Usa. Le principali stragi:

– Orlando, Florida, 12 giugno 2016. Omar S. Mateen, 29 anni e fedele all’Isis, irrompe in un locale gay. Il bilancio è di 50 morti e 53 feriti. L’attentatore è stato ucciso nel blitz della polizia.

– San Bernardino, California, 2 dicembre 2015. Syed Rizwan Farook e la moglie, Tashfeen Malik, due terroristi affiliati all’Isis uccidono in un centro per disabili 14 persone e ne feriscono 21. Sono poi neutralizzati dalla polizia.

– Colorado Springs, 27 novembre 2015. Robert Lewis Dean, 57 anni, penetra in una clinica per aborti ed uccide tre persone. Dopo aver sequestrato per 5 ore gli altri presenti si arrende alla polizia.

– Oregon, 1 ottobre 2015. Chris Harper Mercer, 26 anni, entra nell’Umpqua Community College di Roseberg e spara facendo dieci vittime e diversi feriti, prima di venire ucciso dalla polizia.

– Virginia, 25 agosto 2015. Vester Lee Flanagan II, un ex impiegato della stazione televisiva locale di Roanoke, uccide in diretta tv una giornalista 24enne e un cameramen di 27 anni, mentre stanno intervistando una donna nella cittadina di Moneta, in Virginia. Braccato poi dalla polizia si uccide.

– Charleston, Carolina del Sud, 17 giugno 2015. Dylann Roof, 21 anni, entra in una chiesa metodista di Charleston e, uccide nove persone tra cui Clementa Pinckney, pastore della chiesa e senatore del partito democratico. E’ stato poi arrestato.

– Connecticut, 14 dicembre 2012. Adam Lanza, 20 anni, uccide 21 bambini e sei adulti nella scuola elementare Sandy Hook della cittadina di Newtown. Si suicida prima dell’arrivo della polizia.

– Colorado, 20 luglio 2012. James Holmes, studente 24enne, spara in un cinema uccidendo 12 persone e facendo 70 feriti. Il giovane e stato condannato all’ergastolo.

– Texas, 5 novembre 2009. Nella base militare di Fort Hood, in Texas, lo psichiatra e maggiore dell’esercito Nidal Malik Hasan uccide 13 persone e ne ferisce 32. L’uomo è stato condannato a morte.

– New York, 3 aprile 2009. Jiverly Wong, 42 anni immigrato vietnamita, spara in un centro per l’immigrazione di Binghamton e uccide 13 persone e ne ferisce quattro, prima di suicidarsi.

– Virginia, 16 aprile 2007. A Blacksburg il 23enne Seung-Hui Cho entra armato nel campus universitario del Virginia Polytechnic Institute: prima di suicidarsi ammazza 32 tra studenti e insegnanti.

– Columbine, Colorado, 20 aprile 1999. Due studenti di 17 e 18 anno, Dylan Klehold ed Eric Harris, sparano nel liceo Columbine di Littleton, in Colorado: fanno 12 vittime tra studenti e insegnati e feriscono più di 20 persone. Si sono suicidati dopo la sparatoria.