Usa. Meloni vola a Washington. Per guardare al futuro

di Cesare Scotoni –

L’autobiografia di Vittorio Gassman titolava con sagacia ed una punta di rimpianto “Un grande avvenire dietro le spalle”. Ed era il racconto di una vita fatto da chi si preparava ad uscire di scena dopo aver segnato un percorso di indubbio successo. Si ispirava in modo lievemente provocatorio se comparato alla cultura del periodo in cui in Italia la Settima Arte era popolata di attori e registi politicamente impegnati da sinistra nel progressivo convergere verso il sol dell’avvenire, ad una tradizione amazzonica. Credenza che raffigurava gli umani come esseri costantemente impegnati in un cammino a ritroso verso il termine della corsa. Dove innanzi agli occhi del soggetto pensante c’è solo il passato con le sue lezioni e dietro le spalle un futuro che si può solo immaginare. Percorso che si affronta sempre in solitaria con la occasionale consolazione di avere dei compagni di viaggio. Perché richiamare ora quell’esercizio dialettico del grande attore? Perché ad oggi si può avere l’impressione che molti protagonisti dell’informazione e della politica siano convinti che ciò che hanno innanzi agli occhi non sia ciò che è stato, ma che sia invece ciò che sarà. Lo si coglie nella troppa disinvoltura con cui si utilizzano aspetti inattuali per descrivere ciò che si vive nella quotidianità. Il Comunismo leninista finì in Afghanistan ben prima della fine di quell’Unione Sovietica, che non c’è più da trenta anni e che era retta da un Comitato Centrale che inseguiva la Dittatura del Popolo con un Partito guida fatto di pochi. Lì il Partito Comunista, nella sua ambizione, doveva essere l’espressione della “parte migliore” della società, ed era proprio per questo destinato a plasmarla. Riflesso di una cultura da Ancient Regime, dove la sfida del Potere era governare il popolo, senza mai farlo contro il popolo. Al contrario gli altri totalitarismi europei inseguivano il Plebiscito, il Partito Unico, ampio e riassuntivo, che si fa guidare dal capo partito in quanto popolo nella sua interezza e protagonista di un percorso di progresso sociale in cui tutti sono migliori in quanto appartenenti al Partito. Facile capire di quale di quei totalitarismi sia oggi figlia l’Unione Europea del dopo Lisbona. Quella reinventata tra Francia e Germania dopo il 29 maggio 2005 e la bocciatura popolare degli Accordi di Roma. Se fin dal 2014 riecheggia l’eco di un revisionismo che distingue tra nazisti buoni e meno buoni o la narrazione di una dittatura comunista travestita da capitalismo anglosassone e pronta ad invadere un’Europa in crisi di mercato e di credibilità, non vi è nessuno che ricordi a cotanti poco esperti analisti che la realtà occidentale è cambiata nel 2008, quando il dollaro ha mostrato la propria vulnerabilità e che con quello sono cambiati anche le categorie e gli strumenti per studiarla. Se pensiamo a come la vittoria di Trump abbia certificato un ampio consenso che smentisce le “anomalie statistiche” del 2019 ed ai disastri portati da Joe Biden, non può non stupire che a 10 anni da quella novità l’unica risposta politica di chi non la voleva possa essere ancora il contestarne la legittimità e non guardare invece al fatto che questa volta Trump ha prima scalato il Partito, poi vinto le elezioni e poi dato subito, con le politiche tariffarie, un ultimatum ineludibile tra Cina ed USA a coloro che sul dollaro e sui consumi interni degli Stati Uniti d’America hanno costruito la crescita della propria economia. Con a fianco le imprese più innovative dello scenario globale. Quanta pochezza è emersa in chi, a chiacchiere, predica il cambiamento, ma lo teme perché nella stabilità trova la sua rendita. Vi è la contingenza e vi sono le prospettive e son due mondi e due strategie. Chi ha criticato e critica il viaggio di Giorgia Meloni a Washington o chi minaccia di ritorsioni i governi dell’Unione che il 9 maggio ricorderanno la resa tedesca a Mosca, proprio nell’anno in cui la Germania si inchina nuovamente alla realtà, non sa leggere la contingenza e non sa immaginare alcuna prospettiva. E non è la prima volta. Oggi al Parlamento europeo la maggioranza di Ursula Gertrud Albrecht coniugata von der Leyen non è né coesa né univoca ed una Commissione diversa è possibile. Giorgia Meloni sta guardando proprio a quella contingenza e a Washington può posizionarsi per le prospettive che emergeranno.