Usa. Russiagate: lunedì i nomi e i primi arresti

di Enrico Oliari

Lo scandalo del Russiagate potrebbe tradursi lunedì con i primi atti formali d’accusa del procuratore speciale Robert Mueller e nei relativi arresti. I nomi di coloro che avrebbero interagito con l’intelligence o con apparati russi per favorire la vittoria alle elezioni di Donald Trump non sono ancora stati formalizzati, ma con tutta probabilità saranno quelli di Paul Manafort e di Michale Flynn. Questi è stato per solo un giorno consigliere per la Sicurezza nazionale, ed avrebbe tenuto contatti con la Russia sia prima che dopo la campagna elettorale, addirittura promettendo all’ambasciatore russo a Washington Sergey I. Kislyak l’eliminazione delle sanzioni al suo paese.
Paul Manafort già nell’agosto 2016 si era dimesso dal suo ruolo di responsabile della campagna elettorale del candidato repubblicano in quanto risultato essere stato sul libro paga del partito filorusso dell’ex presidente ucraino Viktor Yanukovich, per delle consulenze da 12,7 milioni di dollari che interessarono il periodo dal 2007 al 2012. Una montagna di denaro evasa, ma anche tanto imbarazzo per l’allora candidato repubblicano: gli inquirenti ucraini avevano informato che da una loro inchiesta su società utilizzate dal cerchio magico di Yanukovich per mantenere un lussuoso stile di vita era saltato fuori un affare di 18 milioni di dollari per vendere partecipazioni della tv via cavo ucraina a una società creata in partnership tra lo stesso Manafort e un oligarca russo, Oleg Deripaska, vicino al presidente russo Vladimir Putin.
Ci sono tuttavia altri nomi altisonanti nelle indagini di Mueller, tra i quali quello del genero di Trump, Jared Kushner, pure lui per poco tempo consigliere: avrebbe avuto rapporti con Flynn ma anche con Serghei Gorkov, capo della banca russa Vneshecononmbank, vicina al Cremlino e nell’elenco degli obiettivi delle sanzioni; l’ex ministro Jeff Sessions, è stato più volte ascoltato dalla commissione senatoriale dove ha negato sotto giuramento di avere avuto rapporti con i russi durante la campagna elettorale, ma l’Fbi continua a dirsi certa di avere le prove di almeno tre incontri dell’Attorney General con l’ambasciatore russo Kislyak.
Intanto Hillary Clinton, che alle elezioni ha perso contro Trump, sta affilando gli artigli e già in settembre aveva dichiarato di “non escludere l’ipotesi di contestare la legittimità della vittoria di Trump nel 2016”. Fino al giugno 2016 la candidata era in testa di 9 punti su Trump, ma le oltre 20mila email divulgate, stando all’accusa grazie agli hacker russi, portarono alla luce un’operazione del comitato centrale del Partito Democratico, che avrebbe dovuto essere neutrale, volta a screditare il candidato alle primarie Bernie Sanders a vantaggio dell’ex segretario di Stato. Da allora per Clinton fu una discesa inarrestabile.