di Enrico Oliari –
Il presidente Usa Donald Trump ha introdotto sanzioni contro quattro giudici della Corte penale internazionale (Cpi) per aver spiccato il mandato d’arresto nei confronti del premier israeliano Benjamin Netanyahu e dell’ex ministro della Difesa Yoav Gallant a fronte della mattanza in corso a Gaza, ovvero per crimini di guerra e contro l’umanità. Il mandato d’arresto, emesso un anno fa, interessava anche i vertici di Hamas, ma nei loro confronti era decaduto a seguito della loro uccisione da parte delle Idf. Si trattava del comandante di Hamas Yahya Ainwar, di quello delle Brigate Ezzedin al-Qassam Mohammed Deif e del capo del braccio politico del partito, Ismail Haniyeh, specificamente per i fatti del 7 ottobre.
In realtà la Cpi indagava il leader israeliano già nel 2015 per crimini di guerra, mentre risale a gennaio l’annullamento delle sanzioni di Trump da parte del Senato Usa.
A differenza della Palestina, Israele non riconosce la Cpi, esattamente come Usa, Russia e Cina. L’Ungheria di Viktor Orban ha ritirato l’adesione alla Corte in concomitanza con la visita di Netanyahu lo scorso aprile. La Cpi è riconosciuta da 125 paesi su 198, e in teoria se Netanyahu si dovesse recare in uno di questi, verrebbe arrestato.
Il premier israeliano ha ringraziato Trump per le sanzioni ai comminate “ai giudici politicizzati della Cpi”, e nonostante i 55mila morti a Gaza di cui un terzo bambini, i bombardamenti in Siria, Libano e Cisgiordania, ha affermato che “è stato giustamente difeso il diritto di Israele, degli Stati Uniti e di tutte le democrazie a difendersi dal terrorismo selvaggio”.
L’Alto Commissario Onu per i Diritti Umani Volker Turk ha invitato l’amministrazione Usa a ritirare le sanzioni e si è detto “profondamente turbato” per questi “attacchi dannosi per la buona governance e la corretta amministrazione della giustizia”.