Usa. Trump 2025: l’incubo dell’America trasformata in reality show

di Giuseppe Gagliano

Se c’è una cosa che Donald Trump sa fare bene, è mettere in scena se stesso. E con il suo insediamento alla Casa Bianca, il 20 gennaio 2025, questo talento diventa nuovamente il fulcro di una politica che trasforma la presidenza in uno spettacolo mediatico e il governo in un circo di figure improbabili. Come racconta Eliot Weinberger sulla London Review of Books, riportato da Internazionale, la squadra scelta da Trump per guidare il Paese rappresenta un mix esplosivo di incompetenza, ideologia estrema e fedeltà cieca al leader.
Non è solo l’ennesimo capitolo di una narrazione populista e divisiva: è un esperimento pericoloso che rischia di trascinare l’America, e con essa il mondo, in una spirale di autoritarismo mascherato da patriottismo.
Tra i nomi scelti da Trump spiccano personaggi che sembrano usciti da un film distopico. Il nuovo segretario alla Difesa invoca una “crociata americana” e una “guerra santa per la libertà”, mentre definisce la diversità nell’esercito una “rivoluzione culturale marxista”. La nuova segretaria alla Sicurezza Nazionale, già governatrice del South Dakota, si oppone a ogni forma di controllo sulle armi, all’aborto, alla fecondazione in vitro e persino ai treni ad alta velocità.
Non mancano le bizzarrie: il nuovo Surgeon General è famoso per vendere integratori miracolosi contro il Covid-19, mentre il futuro capo dell’Agenzia per la Protezione Ambientale nega l’esistenza del cambiamento climatico. Il segretario all’Energia invece è un imprenditore del fracking convinto che non ci sia “nessuna crisi climatica” e che non ci sia bisogno di una transizione energetica.
A completare il quadro ci sono miliardari senza alcuna esperienza politica, figure legate a teorie del complotto e vecchi volti di Fox News. Persino alcuni membri della famiglia di Trump, come il genero e l’ex compagna del figlio, ottengono incarichi chiave. Non importa se queste persone non abbiano alcuna qualificazione: ciò che conta è la loro lealtà assoluta al presidente.
Trump non si limita a trasformare il governo in un palco per le sue ambizioni personali. La sua amministrazione adotta una retorica che divide il Paese in modo sempre più netto. I nemici non sono solo i progressisti, ma chiunque osi opporsi. Il nuovo direttore dell’FBI promette vendetta contro i giornalisti e chiama i democratici “rammolliti” destinati a essere “distrutti”.
Non c’è spazio per il dissenso. La retorica di Trump è alimentata da un’ideologia autoritaria che considera la diversità una minaccia e la giustizia sociale un attacco alla libertà. Ogni critica viene etichettata come “anti-americana,” mentre l’ossessione per il nemico interno giustifica politiche repressive.
Sul fronte internazionale, l’approccio trumpiano continua a basarsi su slogan e interessi personali. Il futuro ambasciatore in Israele è un pastore battista che dichiara che “i palestinesi non esistono”, mentre il nuovo consigliere per la sicurezza nazionale si oppone agli aiuti all’Ucraina, preferendo inviare truppe in Messico per combattere i cartelli della droga.
L’agenda di Trump ignora le crisi globali per concentrarsi su guerre culturali e interessi economici. La NATO viene marginalizzata, il cambiamento climatico negato, e l’America si isola sempre più, vendendo questa strategia come “America First”. Ma a chi giova? Sicuramente non ai cittadini comuni, che pagano il prezzo di un governo che mette gli affari personali sopra l’interesse pubblico.
Trump non è solo il presidente: è il CEO del “brand Trump”. Ogni aspetto della sua presidenza è orientato a promuovere se stesso e il suo impero commerciale. Vende gadget di ogni tipo, da bottiglie di profumo chiamate “Victory” a berretti con il suo nome, trasformando la politica in un’operazione di marketing senza precedenti.
Anche le nomine riflettono questa filosofia: miliardari che hanno finanziato la sua campagna ottengono posizioni chiave, e le decisioni politiche sembrano più orientate a favorire i loro interessi che a risolvere i problemi del Paese. È una presidenza per i ricchi, gestita dai ricchi, a scapito di chiunque altro.
Il ritorno di Trump non è solo un problema americano: è un segnale pericoloso per il mondo intero. La sua presidenza legittima un modello di politica basato su autoritarismo, divisione e spettacolarizzazione. Le democrazie di tutto il mondo devono fare i conti con questa nuova realtà: quando la politica diventa intrattenimento, la democrazia è la prima vittima.
La rielezione di Trump è il sintomo di un’America profondamente divisa e sempre più polarizzata. Il suo governo è una miscela tossica di ideologia estrema, nepotismo e interessi personali, mascherata da patriottismo. Come ha scritto Gramsci: “Il vecchio muore e il nuovo non può nascere: in questo interregno si verificano i fenomeni morbosi più svariati.” L’America di Trump non è altro che un interregno, in cui il futuro viene sacrificato per mantenere in vita un passato che non esiste più.