di Giuseppe Gagliano –
L’ampliamento della definizione di terrorismo da parte di Donald Trump, che ora include anche i cartelli della droga messicani, rappresenta un cambio di paradigma strategico per l’intelligence statunitense. Una mossa che, al di là della retorica muscolare, offre nuove leve operative a due strutture chiave: il National Counterterrorism Center (NCTC) e la CIA.
Il primo effetto pratico è l’estensione della giurisdizione e degli strumenti d’intelligence. Dichiarare i cartelli messicani gruppi terroristici consente agli apparati statunitensi di trattarli con la stessa logica utilizzata per al-Qaeda e l’ISIS: sorveglianza elettronica globale, eliminazioni mirate, operazioni clandestine extraterritoriali. In altre parole, la DEA non sarà più l’unica agenzia a occuparsi del traffico di droga, ma il dossier passerà anche sotto il controllo di strutture con accesso a un arsenale di strumenti molto più sofisticato, come il finanziamento occulto di gruppi rivali, la guerra psicologica e l’infiltrazione su vasta scala.
Per la CIA l’inserimento dei cartelli nella lista delle minacce terroristiche è un’opportunità. Significa poter operare con maggiore libertà in territorio messicano, senza passare per i vincoli diplomatici che finora hanno limitato l’azione statunitense nel Paese. Gli agenti dell’Agenzia potranno avvalersi della logistica militare per azioni più incisive, attingere a fondi destinati alla guerra al terrorismo e, soprattutto, giustificare una presenza più aggressiva nei Paesi dell’America Latina, tradizionalmente considerati una zona grigia per la sicurezza nazionale USA.
L’NCTC, da parte sua, trarrà vantaggio dall’ampliamento dell’orizzonte analitico. Finora focalizzato sul jihadismo e sulle minacce interne, il Centro potrà ora integrare nella sua rete informativa dati e profili legati al narcotraffico, trattando i cartelli come reti transnazionali con una struttura e una capacità operativa assimilabile a quella delle organizzazioni terroristiche. Questo significa più collaborazione con le agenzie di intelligence militare e con i partner internazionali coinvolti nella lotta alla droga, come la Colombia o i governi centroamericani, con un’influenza sempre maggiore sulla definizione delle loro politiche di sicurezza.
C’è poi un aspetto meno visibile ma altrettanto strategico: la questione finanziaria. La guerra al terrorismo ha permesso agli USA di attaccare le reti finanziarie di al-Qaeda e ISIS attraverso sanzioni, sequestri e chiusure di canali di finanziamento. Se i cartelli messicani vengono classificati come entità terroristiche, anche le loro reti economiche internazionali diventeranno bersagli legittimi. Conti bancari congelati, restrizioni commerciali, limitazioni alle attività di riciclaggio nei paradisi fiscali: tutto diventa lecito sotto l’ombrello della sicurezza nazionale.
Ma la vera partita non si gioca solo in Messico. La ridefinizione del nemico offre all’intelligence statunitense una giustificazione formale per una maggiore pressione su governi latinoamericani che storicamente hanno avuto rapporti ambigui con il narcotraffico. Messico, Venezuela e persino Brasile potrebbero trovarsi sotto un livello di controllo e interferenza molto più marcato.
In tutto questo c’è un calcolo politico preciso. Trump, che ha fatto della lotta all’immigrazione e al crimine transfrontaliero un pilastro della sua retorica, rafforza il messaggio di un’America assediata da minacce esterne. Ma dietro lo slogan, si nasconde un’iniziativa che ridefinisce gli equilibri operativi dei servizi segreti statunitensi, dando loro una nuova missione, nuove risorse e un mandato più ampio per agire oltre i confini tradizionali della guerra al terrore.