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Un infuriato presidente Usa Donald Trump avrebbe, stando alle informazioni apparse sulla stampa, sbattuto giù il telefono al premier australiano Malcolm Turnbull il quale gli ricordava che sarebbero giunti negli Usa 1.600 migranti provenienti dal campo di Nauru, nella Micronesia, e da quello di Manus, in Papua Nuova Guinea.
Trump avrebbe protestato per la cosa, che rientra nel quadro di un accordo siglato con il governo di Canberra dal suo predecessore Barak Obama, ma non l’avrebbe spuntata, tanto che Turnbull ha poi riferito che quanto stabilito con la precedente amministrazione Usa in novembre sarà rispettato.
L’Australia adotta una politica molto severa con i migranti ed ha affittato a Papua e Nauru, due paesi indipendenti, terreni sui quali sono sorti campi di internamento per migranti gestiti da società private.
In entrambi i casi si tratta di strutture molto controverse, sulle quali sono piovute in più occasioni accuse di maltrattamenti e di mancato rispetto dei diritti umani, tanto che il governo di Canberra aveva annunciato già nell’agosto scorso la chiusura di quello di Manus. I migranti sono dell’area, ma anche iraniani, somali, malesiani, rohinghia in fuga dalle persecuzioni buddiste, iracheni e dell’Asia centrale.
Dall’altra parte del globo c’è da registrare la smentita sia da parte di Washington che del Messico delle indiscrezioni che davano il presidente Usa aver minacciato il collega Enrique Pena Nieto di mandare l’esercito per sconfiggere i narcotrafficanti, “visto che i soldati messicani non fanno bene il loro lavoro”.
Per quanto concerne il muro di 3.145 km che Trump vorrebbe costruire per frenare l’arrivo dei migranti (sono già presenti barriere per circa mille km), il segretario Usa alla Sicurezza interna, John Kelly, ha reso noto che “Sarà costruito prima dov’è necessario, poi sarà completato. Questo è come la vedo io. Spero vivamente che sia fatto entro i prossimi due anni”.
