di Francesco Giappichini –
“Maleducati, bastardi, mascalzoni, illegali e illegittimi”. Sono le parole che il presidente dell’Asamblea nacional de Venezuela, Jorge Rodríguez Gómez, ha rivolto il 15 maggio ai funzionari dell’Unione Europea (Ue). Uno sfogo giunto, per paradossale che possa apparire, dopo che Bruxelles, per favorire le aperture del governo, aveva tolto le sanzioni ad alcune personalità politiche; tra queste, anche il presidente del Consejo nacional electoral (Cne), Elvis Amoroso. Tuttavia il carattere selettivo dell’intervento, che conservava il regime sanzionatorio per gran parte dell’entourage del presidente Nicolás Maduro, oltreché l’embargo su armi e strumenti repressivi, è stato giudicato dal chavismo al potere come ricattatorio e neocolonialista.
Nell’occasione il fratello di Delcy Rodríguez, ossia della vicepresidente e ministra dell’Economia, aveva anche chiesto al Cne di revocare l’invito all’Ue di inviare osservatori. E inevitabilmente giorni fa Amoroso ha formalizzato la revoca, peraltro non ancora accettata, acuendo lo scontro con Bruxelles. Del resto i due fratelli Rodríguez non solo sono vicini a Maduro e a Cilia Flores, la primera dama de Venezuela; ma sono al vertice di quel potente clan politico-economico, che poggia sulle aziende dei fratelli libanesi Abou Nassif. Tornando al Cne, il suo presidente ha comunque ribadito l’invito ad altri organismi, ad inviare propri osservatori per assistere alle presidenziali del 28 luglio.
Tra le entità il Carter center, le Nazioni Unite, e la Comunidad de Estados latinoamericanos y caribeños (Celac); oltre al Tribunal superior eleitoral (Tse) del Brasile e al governo colombiano, che però hanno declinato l’invito (da parte di Bogotà si è addotta mancanza di tempo). La data del voto è stata scelta sì per il valore simbolico (è il compleanno del defunto presidente Hugo Chávez), ma soprattutto per opportunità politica: l’attuale mandato scade solo il 10 gennaio 2025. Va da sé che il nervosismo della classe dirigente di Caracas, testimoniato anche dai presunti sconfinamenti della Fuerza armada nacional bolivariana (Fanb) nell’area rivendicata dell’Essequibo, è effetto di sondaggi impietosi, per il capo di stato uscente del Gran polo patriótico Simón Bolívar (Gppsb).
L’ultimo attribuisce al candidato dell’antichavismo Edmundo González (Plataforma unitaria democrática – Pud) il 50,7% delle intenzioni di voto, contro il 13,7 del presidente in carica. Nel suo programma spiccano il contrasto a povertà, inflazione e svalutazione, e il miglioramento dei servizi sanitari, educativi, idrici ed elettrici; ma soprattutto si pone l’accento sulle “famiglie separate da emigrazioni di massa”, che mettono in pericolo la loro vita. Né può mancare l’impegno “per un Venezuela per tutti, dove nessuno abbia paura di essere perseguitato per le proprie idee”. I sondaggisti sono concordi: la leader di fatto dell’opposizione María Corina Machado, dichiarata ineleggibile, così come la prima sostituta Corina Yoris, sta riuscendo a trasferire sull’ex ambasciatore di Caracas in Algeria e Argentina (anche nell’era Chávez), la totalità del proprio consenso elettorale. Nonostante il suo profilo moderato, attestato dalla contrarietà al golpe del 2002, e dai buoni rapporti col chavismo dei primi anni, González ha fatto dunque proprio il capitale di fiducia della Machado. La quale, facendo appello alla retorica emotiva, e ricordando i drammi della diaspora, infonde “esperanza de un futuro” presso una consistente fetta dell’elettorato.