di Paolo Menchi –
Nonostante i sondaggi che lo davano staccatissimo nei confronti del rivale Edmundo Gonzalez, Nicolas Maduro è stato proclamato vincitore delle presidenziali dal CNE (Comitato Nazionale Elettorale), in teoria arbitro del voto, ma costituito da persone vicine al governo, con il 51% dei voti contro il 44% del candidato dell’opposizione.
Forse questa vittoria può essere la definitiva certificazione del fatto che il Venezuela non è un paese democratico, in quanto sull’autenticità della vittoria di Maduro vi sono pesanti dubbi.
Era troppa la differenza nei sondaggi a favore di Gonzalez e c’era troppo entusiasmo tra la gente, esasperata anche dai problemi economici, che indicavano un probabile cambio politico dopo 25 anni di chavismo, e difficilmente Maduro sarebbe stato a guardare mentre gli toglievano la poltrona su cui stava seduto da molti anni.
I segnali erano stati diversi. A cominciare dall’esclusione dell’Unione Europea dal ruolo di garante per la regolarità del voto, decisione presa, come denunciato da uno dei membri del CNE, in modo illegale, autonomamente e senza convocare una riunione per votare, dal presidente del CNE, Elvis Amoroso, ritenuto molto vicino a Nicolas Maduro.
Successivamente erano state negate autorizzazioni a seguire e elezioni ad alcuni organi di stampa non in linea con il governo e Maduro, e durante una cerimonia militare aveva giurato all’esercito, sempre stato dalla sua parte, che non avrebbe mai lasciato la carica di presidente.
Sia durante che al termine del voto sono state numerose le denunce di irregolarità da parte dell’opposizione, cui è stato negato persino l’ingresso negli uffici del CNE dove venivano conteggiati i voti ed il cui flusso veniva regolato a piacimento dello stesso organo elettorale.
Secondo i dati elaborati dall’opposizione in realtà Gonzalez avrebbe vinto con il 70% dei consensi.
Sul risultato del voto sono stati sollevati molti dubbi, con dichiarazioni ufficiali da parte di Usa, Argentina, Cile, Uruguay, Costa Rica, Perù, Unione Europea e Italia.
Ovviamente non mancano le congratulazioni da parte dei paesi politicamente vicini a Maduro come Cina, Russia ed Iran.
Ora bisogna vedere cosa succederà nei prossimi giorni, se il vanificato entusiasmo popolare per un cambio di presidente si trasformerà in rabbia e proteste, questa volta alimentate non solo dalla situazione economica disastrosa, che da anni ha impoverito progressivamente il Paese, ma anche dalla sensazione di essere stati scippati del diritto democratico di scelta.