Ventisette anni fa la strage di Halabja: quando Hussein uccise con il gas 5mila curdi

di Shorsh Surme –

Halabja grandeMentre il popolo curdo è impegnato a combattere l’Isis, oggi ricorda, nel 27mo anniversario, il bombardamento con armi chimiche sulla città di Halabja, nel Kurdistan dell’Iraq, da parte del regime di Saddam Hussein. I morti furono più 5mila e i feriti più di 100mila. Molti di questi vennero abbattuti come animali dalle squadre della morte capeggiate dal criminale Ali “il chimico”, cugino di Saddam, per nascondere ogni traccia di questo massacro.
Era 16 marzo 1988, un pomeriggio di primavera. La cittadina era quasi interamente coperta di verde, quando i caccia-bombardieri iracheni arrivarono sul cielo di Halabja, città di 70mila abitanti della provincia di Suleymania, nel Kurdistan iracheno, a pochi chilometri dalla frontiera iraniana.
Il giorno precedente la città era caduta nelle mani dei partigiani dell’Unione patriottica del Kurdistan (Upk) di Jalal Talabani. Abituata alle alterne offensive e controffensive nel conflitto iracheno-iraniano che devastarono la regione dal settembre del 1980, la popolazione credette sulle prime che si trattasse di una classica operazione di rappresaglia. Chi fece in tempo si mmise al riparo in rifugi di fortuna. Gli altri furono sorpresi dalle bombe chimiche che, a ondate successive, Mirage e Mig iracheni gli rovesciarono loro addosso.
Un odore nauseante di mele imputridite riempì Halabja. Al calar della notte, le incursioni aeree cessarono e cominciò a piovere. Poiché le truppe irachene avevano distrutto la centrale elettrica, gli abitanti partirono alla ricerca dei loro morti nel fango, alla luce delle torce. L’indomani, si trovrono di fronte a uno spettacolo spaventoso: strade lastricate di cadaveri, persone sorprese dalla morte chimica nei loro gesti quotidiani: bambini tenuti per mano dal padre, neonati ancora attaccati al seno materno, gli anziani che cercavano di passare una giornata serena e i malati che speravano di guarire. In poche ore si sono avuti 5mila morti di cui 3.200 furono poi tumulati in una fossa comune perché nessuno venne a reclamarli: i familiari erano tutti morti.
Le immagini di questo massacro fecero il giro del mondo grazie a corrispondenti di guerra iraniani e la stampa internazionale che si recò sul posto e diede un certo spazio a questo avvenimento senza precedenti. Il fatto era che l’uso di armi chimiche era formalmente proibito dalla convenzione di Ginevra. Dal 1925 soltanto l’Italia di Mussolini aveva infranto questo divieto nella guerra d’Abissinia. Ma la novità di questa volta era che il gas era stato usato dal presidente contro il suo stesso popolo. Allora l’Occidente – che considerava Saddam un alleato, ma soprattutto il paladino della libertà contro l’espansionismo khomaynista nel Golfo Persico – si limitò a una timida protesta senza una condanna esplicita contro il regime dittatoriale iracheno.
La città di Halabja vive ancora con i terribili ricordi di quella tragedia, nel territorio della città non cresce più un filo di erba, le donne che erano state colpite con il gas non riescono avere più i figli e se possono averne nascono deformi. Ora, la speranza di migliaia dei parenti delle vittime di quella tragedia in particolare e del popolo curdo in generale è che i responsabili, fortunatamente già dietro le sbarre, possano essere processati e giudicati quanto prima per i crimini che hanno commesso contro la popolazione civile.
Vi sono poi i mercanti di morte che hanno collaborato col regime per realizzare quest’arma micidiale, i quali devono essere processati e condannati in Kurdistan. Un olandese di nome Frans van Anraat, di 65 anni, che la magistratura del paese europeo aveva definito come “uno dei più importanti intermediari del traffico d’armi e materiale bellico del Medio Oriente”, è stato riconosciuto colpevole di complicità in crimini di guerra ed è stato condannato dal tribunale dell’Aja a 15 anni di prigione.
Van Anraat si era trasferito in Iraq dopo la prima guerra del Golfo dove, sempre secondo i magistrati olandesi, aveva svolto il ruolo di consulente per lo sviluppo delle armi chimiche del regime di Saddam Hussein.