di Giuseppe Gagliano –
Il segretario alla Difesa americano Pete Hegseth è arrivato ad Hanoi per spingere verso una cooperazione militare più profonda tra Stati Uniti e Vietnam. La visita, che segue un tour in Malesia, rientra in una strategia di consolidamento dei legami con l’Asia sudorientale in chiave anti-cinese. Washington ha già fornito tre pattugliatori alla Guardia costiera vietnamita e tre addestratori T-6, parte di un ordine più ampio, e ora discute la vendita di velivoli da trasporto C-130 Hercules e di elicotteri S-92 e Chinook. Al contempo, i due Paesi hanno firmato un accordo per la bonifica dei siti contaminati dalla guerra del Vietnam, compresa la decontaminazione da diossina: un gesto simbolico per trasformare un passato di distruzione in un presente di cooperazione.
Dietro i sorrisi diplomatici si nasconde una partita più complessa. Il Vietnam rimane fortemente dipendente dalle forniture militari russe. Un’inchiesta del New York Times ha rivelato come Hanoi e Mosca abbiano creato una rete di pagamento parallela per aggirare le sanzioni, sfruttando joint venture nel settore del gas e del petrolio per finanziare l’acquisto di armi. Secondo i documenti interni di Rostec, il Vietnam, identificato come “Cliente 704”, avrebbe firmato contratti per 8 miliardi di dollari, comprendenti caccia Su-35, sistemi di guerra elettronica e jammer terrestri. Nonostante la retorica occidentale sulla “diversificazione”, la dipendenza tecnica, logistica e formativa da Mosca resta una realtà. Gli Stati Uniti cercano dunque di sostituirsi gradualmente a questo ruolo, ma sanno che la transizione non può avvenire da un giorno all’altro.
Hanoi applica una strategia di equilibrio sottile, la cosiddetta “diplomazia del bambù”: piegarsi senza spezzarsi. Con Washington coltiva cooperazioni a bassa intensità – trasporto tattico, sorveglianza marittima, addestramento – mentre continua a mantenere relazioni strutturali con la Russia per la manutenzione dei sistemi in uso. Con Pechino, infine, adotta un pragmatismo economico. I progetti infrastrutturali, ferroviari e industriali con la Cina si moltiplicano, e il clima d’opinione verso il potente vicino si sta lentamente ammorbidendo, complice il controllo del nazionalismo online e l’attrazione economico-culturale della Cina sui giovani vietnamiti. La “bambù-diplomazia” si conferma così come una forma di sopravvivenza geopolitica: Hanoi non sceglie blocchi, ma opportunità.
Sul piano operativo, l’acquisto di mezzi americani avrebbe un valore strategico più simbolico che offensivo. I C-130 rafforzerebbero la capacità di trasporto e soccorso, utile nelle regioni montuose e costiere; gli elicotteri S-92 migliorerebbero il pattugliamento marittimo e la ricerca e soccorso; i Chinook, con la loro capacità di trasporto pesante, garantirebbero una logistica più autonoma nelle isole contese del Mar Cinese Meridionale. Non è dunque una corsa agli armamenti, ma un graduale ampliamento delle capacità duali – civili e militari – che accrescono la resilienza nazionale senza provocare direttamente Pechino.
Sul fronte politico il Vietnam invia segnali calibrati a tutti gli interlocutori. Alla Cina mostra che la cooperazione con gli Stati Uniti non è un’alleanza, ma una garanzia di autonomia. Alla Russia lascia intendere che le forniture continueranno, purché sostenibili. Agli Stati Uniti chiede rispetto dei tempi di transizione, senza imposizioni né sanzioni. Questo triangolo instabile è la base della politica estera vietnamita: nessuna dipendenza esclusiva, ma una pluralità di legami che massimizza vantaggi e margini di manovra.
Dal punto di vista economico, la competizione tra fornitori militari è per Hanoi una leva per attrarre investimenti e ottenere trasferimenti tecnologici. I nuovi accordi con Washington implicherebbero la creazione di centri di manutenzione e formazione locali, con benefici per la manodopera specializzata e l’indotto aeronautico. Allo stesso tempo, la crescente presenza cinese nei settori manifatturiero e infrastrutturale consolida il Vietnam come cerniera produttiva tra l’Asia continentale e le catene di fornitura globali. Il governo sfrutta questa posizione per ottenere margini fiscali, energia a basso costo e un afflusso costante di capitali stranieri.
Sul piano militare e strategico, il Vietnam è consapevole di trovarsi nel cuore della competizione indo-pacifica. La cooperazione con gli Stati Uniti migliora la sua capacità di sorveglianza marittima e di gestione delle crisi nel Mar Cinese Meridionale, ma senza trascinarlo in un’alleanza che comprometterebbe i rapporti con i vicini comunisti. In caso di tensioni, può rivendicare una politica di difesa autonoma e multilaterale, sostenuta da diversi fornitori e aperta a cooperazioni regionali.
Il futuro dei rapporti tra Stati Uniti e Vietnam dipenderà dalla capacità di entrambi di rispettare le reciproche linee rosse. Per Washington, significa accettare che Hanoi continuerà a comprare armi russe. Per il Vietnam, significa gestire il corteggiamento americano senza alimentare l’ostilità di Pechino. Nella regione più dinamica del mondo, la stabilità è un equilibrio instabile: e il Vietnam, più di chiunque altro, sa piegarsi al vento senza mai rompersi.












