Yemen. Il pakistano Sharif per la soluzione pacifica della crisi: il rischio è un conflitto fra sciiti e sunniti

di Enrico Oliari –

yemen sharif erdogan grandeSono ormai diversi giorni che gli aerei della coalizione messa in piedi fra i paesi della Lega Araba bombardano i ribelli houthi dello Yemen, i quali lo scorso 27 gennaio hanno preso il potere rovesciando il presidente Abd Rabbo Mansour Hadi.
Gli houthi, minoranza sciita sostenuta dall’Iran, erano arrivati al golpe dopo che per mesi avevano chiesto invano alcuni riconoscimenti come l’inserimento di 20mila appartenenti alla minoranza nelle forze armate governative, l’assegnazione di 10 ministeri e l’inclusione nella regione di Azal di Hajja e dei governatorati di al-Jaw.
La coalizione, a giuda saudita e nello specifico del generale Ahmed Asseri, è composta. oltre che da Yemen e Arabia Saudita. anche da Egitto, Sudan, Giordania, Marocco, Bahrain, Emirati Arabi Uniti e Qatar, ma a far discutere è la posizione di chi non ha preso parte all’impegno bellico, cioè del Pakistan.
Infatti, nonostante Riad abbia chiesto al Pakistan l’invio di aerei militari, navi da guerra e soldati (cosa riferita dal ministro della Difesa pakistano Khawaja Asif), il Parlamento di Islamabad ha votato di non prendere parte alla campagna anti-houthi e di preferire la strategia del dialogo, di fatto sposando la linea del Segretario delle Nazioni unite Ban Ki-moon, il quale ha insistito anche nei giorni scorsi che “Tutte le parti devono dar prova di buona volontà, non c’è altra soluzione”, per quanto sia evidente che golpe degli houthi rappresenti una “violazione flagrante delle risoluzioni del Consiglio di sicurezza”.
I sauditi hanno quindi voluto ricordare al Pakistan di aver donato solo nel 2017 1,5 miliardi di dollari al governo a sostegno della sgangherata economia, ma dal governo di Islamabad è stato risposto che l’intervento vi sarà nel momento in cui ad essere aggredita sarà l’Arabia Saudita.
La decisione del Pakistan è, a ben guardare, sensata, se si pensa che un quinto dei pachistani sono di confessione sciita e che il paese confina per 909 chilometri con la Repubblica Islamica dell’Iran, secondo una frontiera che c’è e non c’è. Il rischio infatti è che quanto sta accadendo nello Yemen possa estendersi nella regione a macchia d’olio e portare ad una resa dei conti fra mondo sciita e mondo sunnita, uno scontro certamente non dettato da motivi religiosi, ma da interessi molteplici fra i quali la leadership dell’area. Il conflitto potrebbe quindi collegarsi a quello in corso in Siria, dove le monarchie del Golfo sostengono i ribelli, mentre l’Iran sta dalla parte dello sciita (alawita) Bashar al-Assad. O ancora aprire nuovi scontri nei paesi dove gli sciiti sono numericamente importanti, come nel Bahrein, dove anche di recente le proteste popolari sono state soffocate nel sangue e nel più completo silenzio della stampa internazionale.
La posizione del Pakistan appare al momento isolata nel contesto della Lega Araba, per cui il premier Nawaz Sharif ha chiamato al telefono il presidente turco Recep Tayyip Erdogan al fine di invitarlo a sostenere gli sforzi volti ad individuare una soluzione pacifica al conflitto in corso nello Yemen. La telefonata, durata 45 minuti, è arrivata il giorno dopo che Erdogan ha interloquito con re Salman dell’Arabia Saudita e con l’emiro del Qatar Tamim bin Hamad al-Thani, colloqui in cui il presidente turco ha espresso la posizione di non prendere parte attivamente alla campagna anti-houthi, ma di offrire un eventuale supporto logistico e il lavoro di intelligence.
Erdogan ha quindi fatto sapere a Sharif di sostenere in pieno, almeno ideologicamente, l’azione contro i ribelli dello Yemen, rispondendo così picche all’invito di operare per una soluzione pacifica della crisi.
L’unica cosa su cui i due hanno concordato è che “gli Houthi non avevano alcun diritto di rovesciare un governo legittimo nello Yemen”, ed hanno avvertito che “qualsiasi violazione dell’integrità territoriale dell’Arabia Saudita provocherebbe una forte reazione da parte di entrambi i paesi”.
Al momento non si conosce l’esatto numero delle vittime, ma di certo vi sono molti civili, basti pensare che nei giorni scorsi è stato centrato dai caccia sauditi il campo profughi di Mazraq, nello Yemen nordoccidentale, mentre oggi i raid hanno colpito i quartieri residenziali di Sanaa, capitale dello Yemen, in quanto ritenuti ospitare basi dei ribelli. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms), solo nel periodo compreso fra il 19 marzo e il 6 aprile si sarebbero registrati 643 morti e 2226 feriti.