Yemen. Nonostante l’accordo continuano le violenze

di Giuseppe Gagliano

Come era prevedibile i ribelli Houthi dello Yemen hanno posto in essere circa 200 violazione dell’accordo che era entrato in vigore il 9 aprile, servendosi sia di missili balistici sia di armi leggere e prendendo in particolare di mira la prigione centrale della città di Taiz, centro importante dal punto di vista strategico in quanto si trova a metà strada tra Sanaa e Aden, dove si è rifugiato l’ex presidente Abd Rabbo Mansur Hadi. Questi attacchi sono dal punto di vista strettamente strategico una prosecuzione coerente delle offensive che ribelli hanno realizzato a partire dal marzo del 2015.
Come ampiamente noto la guerra nello Yemen, iniziata nel 2015, ha superato ormai le 91mila vittime. La coalizione araba, a guida saudita e supportata dagli Stati Uniti, ha riportato in questi ultimi anni evidenti insuccessi strategico-militari.
L’accordo per il cessate-il-fuoco messo in piedi nel dicembre 2018 a Hodeida, sul Mar Rosso, è risultato fallimentare. Nell’aprile del 2019 il Congresso degli Stati Uniti ha approvato una risoluzione nella quale si chiedeva al presidente Donald Trump di fermare entro 30 giorni il sostegno degli Stati Uniti alla coalizione saudita nella guerra yemenita, Trump ha posto il veto sia perché continua a vedere nella Arabia Saudita l’unico strumento adeguato per limitare e contenere la proiezione di potenza iraniana in Medio Oriente, sia per i legami strettissimi tra gli Usa e l’Arabia Saudita di natura petrolifera e militare.
Dal punto di vista geopolitico lo Yemen occupa una posizione strategica di grande rilievo poiché controlla lo stretto di Bab el Mandeb, che collega il Mar Rosso con il Golfo di Aden, snodo commerciale fondamentale per trasporto del petrolio.
Per questa ragione non deve destare alcuna sorpresa il conflitto tra sauditi e iraniani per mantenere l’influenza in un paese del Golfo come lo Yemen.
Una delle ragioni di questo conflitto è anche da ricercarsi nel fatto che per Riad avere al confine sud una forte presenza sciita rappresenta di fatto un vera e propria minaccia per la propria sicurezza nazionale, anche perché potrebbe indurre alla ribellione le popolazioni sciite nella zona orientale del paese. Per questa ragione l’Arabia Saudita ha avviato un’alleanza con gli Stati Uniti per combattere lo Yemen riuscendo a trovare il sostegno dei paesi del Consiglio di cooperazione del Golfo e dell’Egitto, insieme al Marocco, alla Giordania, al Sudan, al Kuwait, agli EAU, al Qatar e al Bahrein. Tuttavia non dobbiamo dimenticare che l’alleanza tra Arabia Saudita e EAU risulta quanto mai precaria e problematica: infatti è noto che gli emirati sostengono i separatisti meridionali con lo scopo di indebolire la Fratellanza Musulmana e contrastare al-Qaeda creando in questo modo una propria area di influenza nel sud dello Yemen. Non deve quindi destare sorpresa come questa alleanza sia venuta meno nel 2018 proprio nella zona sud dello Yemen.
Un altro elemento di permanente instabilità è determinato dalla presenza di al-Qaeda, che nello Yemen viene denominata Aqap e che controlla alcuni territori del sud del paese attraverso azioni di guerriglia e di terrorismo rivolte contro il presidente Abdel Rabbo Hadi, sostenuto questo da paesi arabi e dall’Occidente, sia contro i ribelli yemeniti di confessione sciita.