A dieci anni dall’11 settembre: vittoria o sconfitta?

di Saber Yakoubi –

Contano i risultati: questo è ciò che rimane alla fine di ogni bilancio. A dieci anni dall’attentato alle Torri Gemelle credo che sia lecito porsi delle domande come solitamente si fa nel momento in cui viene portata avanti una guerra: di certo gli Stati Uniti sono usciti i veri perdenti di quella guerra, al di là che ne sia stata l’al-Qaeda di Bin Laden l’artefice o, come qualcuno ha detto, vi sia stato lo zampino dell’America stessa per arrivare ad obiettivi precedentemente pianificati.In concreto possiamo dire che l’11 settembre del 2001 ha portato l’America a scatenare due guerre fortemente distruttive, delle quali la prima in Afghanistan e la seconda in Iraq, entrambe determinanti una vera e propria umiliazione militare per l’America, un’emorragia economica colossale (si parla di 3 trilioni di dollari), più di 5 mila morti, oltre 40 mila feriti e soprattutto un odio grande quanto un mare senza spiaggia specialmente nei paesi del mondo arabo; ed ancora un Iraq con quasi due milioni di morti ed un Afghanistan stanco, martoriato ed umiliato.

All’apparenza tutto era partito dopo quella mattinata dell’ 11 settembre di 10 anni ha, ma in realtà l’occupazione dell’Iraq era già nei piani americani ancora prima degli attacchi alle Torre Gemelle.Infatti fin dal 1998 un gruppo di sostenitori di Israele aveva chiesto la distruzione completa dell’Iraq e fra questi vi erano il professore Bernard Lewis ed alcuni neo-conservatori come Richard Pearl, Jhon bolthon, Paul Wofovitez ed altri. Questi avevano pubblicato un articolo in cui dichiaravano che l’Iraq era il pericolo maggiore per l’esistenza di Israele e non è un caso se costoro (ad esclusione di Lewis) erano fra i falchi della direzione americana che ha pianificato ed attuato l’intervento contro Saddam Hussein.

E dopo dieci anni l’America si è ritirata dall’Iraq lasciandolo in una notte di perplessità e di mille domande, regalando de facto all’Iran, dal momento che il governo attuale risulta essere filo iraniano. L’Iran, ‘il nemico numero uno di America e Israele’,  come l’ha descritto Tony Blaire pochi giorni fa in un articolo, in cui sosteneva che se fosse stato ancora primo ministro inglese, non avrebbe avuto remore ad attaccare e a distruggere il paese di Ahmadinejad.

Non meno drammatica è la situazione americana in Afghanistan: due terzi del territorio afghano è sotto il controllo talebano e sono in corso trattative per uscire dal pantano afghano senza doversi trovarsi sotto una pioggia di fuoco talebano. Prima della guerra il sito talebano per eccellenza erano le montagne di Tora Bora, ora non più. In compenso i talebani sono nelle città con tanto di bandiere e l’apparenza di un esercito sempre più organizzato e potente, pronto a colpire il nemico quando questi meno se l’aspetta, malgrado la presunta uccisione di Bin Laden del maggio scorso nel vicino Pakistan.

Oggi, a dieci anni dall’11 settembre, esiste un’organizzazione al Qaeda nell’Arabia saudita sotto il comando di Naser al-Whichi, il quale continua a minacciare le vie di rifornimenti di idrocarburi e le riserve di petrolio del paese e di tutto il Golfo. Vi è poi un gruppo di al Qaeda in Somalia, il quale ormai controlla la navigazione marittima in quell’area e si fa pagare da tutti i paesi delle navi colpite grosse cifre. Vi è poi una terza organizzazione nel Maghreb islamico a qualche decine di chilometri dalle spiagge meridionali dell’Europa, ed ancora un risveglio notevole delle attività Iraq, che smentiscono quindi i più grandi degli esperti nel campo: le continue vittorie dell’esercito talebano in Afghanistan hanno come contraccolpo l’effetto di rafforzare in più paesi questa ideologia. L’America sta pagando i risultati disastrosi delle sue politica strategica sanguinosa che ha sortito solo l’effetto di renderla più vulnerabile, il paese con il debito più grande al mondo (14 trilioni di dollari) e basta osservare la scena libica prima dell’intervento Nato dove gli USA hanno misteriosamente preferito ritirarsi dalla scena lasciando tutto tra le mani di Francia e la Gran Bretagna, per il timore di ritrovarsi in un altro labirinto come quello afghano oppure iracheno.

Ciò che non parla ancora nel mondo occidentale è l’effetto che la guerra di Libia avrà sul’area africana (Algeria, Ciad, Niger, Mali, Burkina Faso, Mauritania), in quanto lì al Qaeda possiede missili, munizioni ed armi leggere di ogni genere prese dai depositi abbandonati dalle brigate del Colonnello, cosa che sta preoccupando non di poco gli esperti di terrorismo internazionale.

Addirittura si sta pensando ad un’ipotesi di alleanza fra queste organizzazioni terroristiche e lo stesso Muammar Gheddafi, con tanto di finanziamento di operazioni ‘spettacolari’ in diverse parti del mondo, in particolare contro quei paesi che hanno partecipato all’azione bellica di sostegno agli insorti.D’altro canto Gheddafi non sarebbe neppure nuovo a tali iniziative, se si pensa all’attentato di Luckerby organizzato con lui alla presidenza del paese africano…

Una delle cause principali della crisi economica in America e in Europa è stata proprio la reazione esagerata a quanto accaduto dieci anni fa e non è un caso se il costo complessivo delle perdite è di circa 3 trilioni di dollari, ovvero la stessa somma impiegata per gli attacchi all’Iraq ed all’Afghanistan.

L’intervento Nato in Libia ormai è visto da più parti nel mondo arabo come una nuova occupazione, come pure i documenti ritrovati a Tripoli hanno fatto trasparire l’intensa collaborazione fra il regime di Gheddafi e i paesi della Nato (Italia, Inghilterra, Francia, America); tra le cose sconcertanti vi è la consegna del capo della resistenza armata in campo di battaglia Abdel Hakim Belhaj, il quale è stato portato al Colonnello tramite i servizi segreti inglese ed altri oppositori del regime: ci si chiede oggi nel mondo arabo, dal momento che gli interventi militari hanno lo scopo di realizzare la libertà e la democrazia, come mai gli oppositori venivano consegnati agli stessi dittatori? L’esempio eclatante è il caso dell’egiziano Abou Omar, rapito a Milano dagli americani con la complicità del Sismi italiano e quindi consegnato al regime di Mubarak…

La convinzione dei giovani arabi è quindi che l’Occidente stia sfruttando la dittatura araba durante e dopo il loro stato in essere ed addirittura chetali mali derivino dai piani diabolici occidentali e dalla stupidità dei governanti.Dopo aver convinto Gheddafi di essere il ‘re dei re’ ed aver usato il figlio Saif Al Islam per ottenere investimenti dentro e fuori la Libia, gli occidentali lo hanno azzannato come i lupi.Al Qaeda non è finita e la guerra in Libia potrà avere sviluppi pericolosissimi: nei prossimi giorni si voterà alle Nazioni Unite per lo stato palestinese, ma L’America ha già fatto sapere della propria propensione a porre il veto, fatto che confermerà l’ipocrisia dell’America e farà crescere l’odio nel mondo arabo nei confronti degli Usa.

A distanza di dieci anni da quell’11 settembre non è stata ancora fatta una critica costruttiva, bensìsi continua ad ingannare popoli e nazioni, cosa che non può garantire un avvenire di pace sicura, ma solo più conflitti, più sangue e un al Qaeda più potente più determinata a colpire dove vuole e quanto vuole.