di Francesco Giappichini –
Il 6 dicembre a Montevideo, in Uruguay, si è celebrato un nuovo Vertice del Mercosur (Mercado común del Sur): l’area di libero scambio dell’America meridionale. Il tema centrale, avrebbe dovuto essere lo scontro fra tre dei membri effettivi – Brasile, Argentina e Paraguay – e l’Uruguay; motivo del contendere, la pretesa uruguayana di stringere accordi bilaterali con Stati terzi, prescindendo dalle regole del mercato comune, che sono stabilite dal blocco. Insomma secondo le tre Nazioni, la volontà di Montevideo d’intavolare negoziati commerciali con la Cina, o i Paesi del Partenariato trans-Pacifico (Trans-Pacific partnership – Tpp), potrebbe provocare una paralisi dello stesso Mercosul. Più in generale, l’Esecutivo liberale uruguayano sostiene che i dazi sulle importazioni, volti a tutelare i produttori brasiliani e argentini, penalizzano troppo i consumatori nazionali. Ebbene questa divergenza è stata sì affrontata, ma ha assunto una posizione secondaria, rispetto all’inattesa invettiva che il presidente argentino, Alberto Fernández, ha lanciato contro l’Europa. L’inquilino della Casa rosada non ha invero puntato il dito contro le istituzioni comunitarie, ma contro i singoli Paesi membri, che ritarderebbero la ratifica del noto Acuerdo de libre comercio Mercosur – Unión europea, ancora in fase di gestazione. Sul banco degli accusati finisce l’ipocrisia europea, che camuffa le esigenze protezionistiche, con le esortazioni alla tutela dell’Amazzonia: “Chiediamo all’Europa di smetterla di mentirci. Possiamo pure continuare a credere che il ritardo nella ratifica dell’Accordo, dipenda dal fatto che non trattiamo bene l’Amazzonia. La verità è che in Europa ci sono Paesi protezionisti, che non vogliono che siano importate le nostre carni, i nostri cereali e il nostro cibo”. L’attacco ha stuzzicato l’interesse degli osservatori sudamericani, che hanno rimarcato come gli europei siano maestri nel mascherare protezionismo e tutela degli agricoltori, con pretesti di tipo etico, igienico – sanitario e ambientalista. Sotto accusa finiscono soprattutto la Polonia, la Francia, e la necessità del presidente Emmanuel Macron di difendere l’agricoltura transalpina dalla globalizzazione.
Altri hanno però fatto notare come, almeno sinora, Buenos Aires non sia stata per nulla in prima linea, nella crociata per l’entrata in vigore dell’accordo commerciale Ue – Mercosur. Del resto alcuni settori dell’industria argentina (come tessile, farmaceutico e automotive) sono protetti da tariffe elevate; dunque puntando sulla vicinanza al governo peronista, si oppongono a quest’apertura commerciale, e fanno resistenza a un’integrazione globale col gigante europeo. Torniamo però al Summit, dove la questione dei rapporti con l’Unione europea è stata affrontata anche dal leader paraguayano, Mario Abdo Benítez: c’è «più consapevolezza in Spagna, Germania e Italia che dobbiamo andare avanti. E dovremo discuterne con il presidente della Francia» ha dichiarato, forse non tenendo conto degli strali che Coldiretti (Confederazione nazionale coltivatori diretti) lancia spesso contro l’Acuerdo. Nell’occasione è intervenuto anche il rappresentante di Bruxelles a Buenos Aires, Amador Sánchez Rico, che dà per scontato il rinnovato impegno del nuovo corso progressista brasiliano, per l’entrata in vigore dell’Acuerdo: “Da parte del Mercosur, attendiamo un protocollo o uno strumento aggiuntivo, che ci dia maggiori garanzie in termini di deforestazione e lotta al cambiamento climatico”.