Afghanistan. Le coltivazioni di oppio non rendono più come prima

di Giuliano Bifolchi *

Afghanistan Colptivazioni oppioNei giorni scorsi è stata presentata l’analisi socio-economica dell’Ufficio delle Nazioni Unite per il controllo della Droga e della Criminalità (UNODC) in merito alle coltivazioni di oppio in Afghanistan che ha evidenziato come i coltivatori di oppio nel 2015 hanno registrato un guadagno inferiore rispetto agli anni precedenti, una piccola vittoria in un paese che continua ad avere problemi di carattere sociale, economico e di sicurezza.
UNODC, attraverso documenti come l’analisi socio-economica della coltivazione di oppio in Afghanistan, assiste i paesi nell’identificare, analizzare e monitorare il mercato mondiale di stupefacenti e le minacce della criminalità organizzata transnazionale ed aiuta la comunità internazionale ad selezionare le priorità per il controllo e la lotta al narcotraffico ed al crimine, in particolare supportando iniziative di sviluppo economico e locale alternative.
Lo studio in merito all’Afghanistan evidenzia che il profitto lordo ricavato dall’oppio è diminuito raggiungendo quota 3100 dollari all’ettaro nel 2015, il 18% in meno rispetto al 2014 il cui valore si attestava sui 3800 dollari e valore più basso dal 2002, periodo seguente il divieto di coltivazione sancito dai Talebani.
L’importanza di questo dato è dovuta al fatto che, con un guadagno inferiore rispetto agli anni precedenti, i nuovi investitori e coltivatori di oppio potranno essere scoraggiati nell’affrontare un business che richiede un elevato investimento di denaro principalmente destinato alla manutenzione dei campi di coltivazione attraverso dispendiosi sistemi di irrigazione. Nel 2015 infatti circa il 38% dei coltivatori ha deciso di terminare la coltivazione dell’oppio a causa delle forti somme di denaro richieste per l’irrigazione, come visto prima, e per mantenere le condizioni ecologiche ed agronomiche necessarie.
Andando ad analizzare i dati si evince che nel 2015 l’ammontare del territorio afghano riservato alla coltivazione dell’oppio è pari a 183 mila ettari, il 19% in meno rispetto al 2014 dove tale territorio era di 224 mila ettari. Questo dato positivo viene però contrastato dal numero di province libere da tale coltivazione sceso da 15 a 14 e quindi, di conseguenza, il numero di province affette da tale attività è salito a 20. Le stime parlano di 18.3 chilogrammi di oppio prodotto ogni ettaro, ossia il 36% in meno rispetto al 2014 dove per ogni ettaro venivano prodotti 28.7 chilogrammi. Il potenziale di produzione, quindi, è sceso a 3.300 tonnellate (2.700 valore minimo, 3.900 valore massimo), dato nettamente inferiore del 49% rispetto alle 6.400 tonnellate dell’anno precedente (5.100 valore minimo, 7.800 valore massimo).
Dal punto di vista geografico la regione maggiormente colpita da tale attività è quella meridionale con 119.765 ettari coltivati nel 2015, seguita poi da quella occidentale (44.308 ettari), orientale (12.242 ettari), nord-orientale (4.056 ettari) le quali hanno registrato una diminuzione rispetto al 2014 mentre quella settentrionale (1.875) e centrale (321 ettari) hanno totalizzato un aumento rispettivamente del 154% e del 38%.
Tra le province colpite dal fenomeno figura la capitale Kabul e le città di Kunar, Laghman, Nangarhar, Badakhshan, Baghlan, Faryab, Sari Pul, Day Kundy, Hilmand, Kandahar, Uruzgan, Zabul, Badghis, Farah, Ghor, Herat e Nimroz.
Dallo studio di UNODC e dalle interviste condotte in Afghanistan è emerso come sono molte le donne impegnate nell’agricoltura afghana e proprio nella coltivazione dell’oppio di cui conoscono la proibizione ma, a causa delle condizioni economiche, non ne possono fare a meno. Seppur a conoscenza dei danni che provoca l’oppio e la sua lavorazione, tali donne hanno affermato che hanno bisogno di risolvere i propri problemi economici e quindi preferiscono non rispettare la legge piuttosto che danneggiare le proprie vite e quelle dei propri familiari.
Sempre dalle interviste è emerso che i coltivatori non dipendono dall’oppio dal punto di vista economico per il grande guadagno che si ha dalla sua vendita, ma soprattutto perché a causa delle restrizioni non possono far crescere altre coltivazioni le quali in aggiunta trovano enormi difficoltà ad entrare nel mercato nazionale. Altre limitazioni del paese sono date dalla necessità di sviluppare lavori non collegati con l’agricoltura e la coltivazione, migliorare le infrastrutture socio-economiche ed ampliare le strategie ideali per risolvere le crisi politiche ed i conflitti.

bifolchi fuori*Giuliano Bifolchi. Analista geopolitico specializzato nel settore Sicurezza, Conflitti e Relazioni Internazionali. Laureato in Scienze Storiche presso l’Università Tor Vergata di Roma, ha conseguito un Master in Peace Building Management presso l’Università Pontificia San Bonaventura specializzandosi in Open Source Intelligence (OSINT) applicata al fenomeno terroristico della regione mediorientale e caucasica. Ha collaborato e continua a collaborare periodicamente con diverse testate giornalistiche e centri studi.