Alle origini della cartografia antica: evoluzione della rappresentazione del Mondo tra Grecia e Roma

di Diego Borghi e Riccardo Renzi

Questo studio, redatto in sinergia dai due autori, analizza l’evoluzione della cartografia nell’antichità, con particolare attenzione ai contesti culturali greco e romano. Si affrontano le modalità di produzione, le concezioni cosmografiche, e le finalità pratiche e simboliche della rappresentazione dello spazio nel mondo antico. L’indagine muove dai primi tentativi di descrivere il mondo in epoca omerica, proseguendo con gli sviluppi scientifici ellenistici, fino all’elaborazione delle mappe romane a fini amministrativi, militari e infrastrutturali. Si esplorano infine le influenze tardo-antiche e bizantine, evidenziando la persistenza di modelli classici nella cartografia medievale.
La rappresentazione dello spazio geografico accompagna l’umanità sin dai suoi primordi. Le prime forme di cartografia non si limitavano a raffigurazioni simboliche o religiose, ma rispondevano anche a esigenze pratiche: orientarsi, delimitare territori, pianificare attività agricole o commerciare. Le prime “mappe” note furono tracciate a mano su supporti duraturi come pietra, legno, o argilla incisa; successivamente su superfici più leggere e trasportabili come le pelli animali, i papiri e, in età imperiale, su pergamene o lino. La pittura, infine, introdusse la possibilità di un dettaglio figurativo più raffinato, pur sempre subordinato alla visione del mondo dominante.

La cartografia greca: tra mito, filosofia e scienza.
Il primo modello geografico sistematico della civiltà greca è contenuto nei poemi omerici, in particolare nell’Odissea. La geografia omerica concepiva la Terra come un disco piatto circondato dal fiume Oceano, su cui poggiava una volta celeste solida, non aerea ma cristallina. Al di sotto del mondo visibile si collocavano l’Ade e il Tartaro, le regioni dei morti e dell’oscurità eterna. Questo schema cosmico, fondamentalmente mitico, rimase a lungo radicato nella cultura greca, anche dopo l’affermazione della sfericità terrestre da parte dei Pitagorici e di Aristotele.

I pionieri: Anassimandro, Ecateo, Eratostene.
Il primo a tentare una rappresentazione grafica sistematica del mondo fu Anassimandro di Mileto (VI sec. a.C.), discepolo di Talete. Egli concepì la Terra come un cilindro sospeso nello spazio, di cui solo la superficie superiore era abitata. La sua mappa, oggi perduta, rappresentava probabilmente un mondo circolare, centrato sul Mediterraneo, con le terre conosciute distribuite in modo simmetrico. Il suo successore Ecateo di Mileto (550–476 a.C.) perfezionò questa visione con una “periegesi”, ovvero una descrizione peripatetica del mondo, nella quale inserì dati etnografici e topografici, cercando una maggiore precisione. Una svolta decisiva fu apportata da Eratostene di Cirene (276–194 a.C.), direttore della Biblioteca di Alessandria, considerato il padre della geografia scientifica. Egli fu il primo a calcolare con sorprendente accuratezza la circonferenza terrestre (basandosi sull’osservazione delle ombre a Siene e Alessandria) e a introdurre un sistema di linee parallele e meridiane per la costruzione delle mappe. La sua Geografia in tre libri, anch’essa perduta, influenzò profondamente la cartografia successiva.

La maturazione del pensiero geografico: Strabone e altri autori.
Con Strabone (64 a.C. – 24 d.C.), la geografia si consolida come disciplina erudita e filosofica. Nella sua Geographikà, egli descrive il mondo conosciuto con intento sistematico, facendo largo uso delle fonti della Biblioteca di Alessandria, ma anche di osservazioni dirette, come nel suo presunto viaggio in Egitto fino ai confini dell’Etiopia. Altri autori, come Agatemero e Temistio, tramandano informazioni utili sull’evoluzione della rappresentazione geografica ellenistica, pur in forma frammentaria.

Cartografia romana: amministrazione, dominio, razionalità.
Già nel II secolo a.C., le fonti documentano la presenza di mappe nella Roma repubblicana. Una mappa della Sicilia fu esposta nel tempio di Matuta (174 a.C.); Varrone riferisce dell’esistenza di una carta del suolo italico. Quando una colonia veniva fondata o un territorio riorganizzato, venivano redatti due esemplari della mappa: uno su materiale pregiato (bronzo, marmo) per l’esposizione pubblica; l’altro su lino per l’archiviazione. L’amministrazione imperiale necessitava di una cartografia dettagliata per motivi militari, fiscali e infrastrutturali. La costruzione di strade, il posizionamento di guarnigioni e la gestione delle terre conquistate esigevano mappe precise, redatte dai agrimensores con strumenti come la groma, probabilmente di origine mesopotamica. La centuriazione del territorio agricolo in lotti geometrici rifletteva una visione altamente razionalizzata dello spazio.

Agrippa e la cartografia di stato.
Sotto Ottaviano Augusto, il generale Marco Vipsanio Agrippa realizzò una carta del mondo romano basata su misurazioni stradali compiute dai militari. Questa mappa, esposta al Campo Marzio nel 20 a.C., rappresentava l’Orbis pictus, ovvero il mondo conosciuto organizzato in modo funzionale, probabilmente pensata per illustrare il cursus publicus, la rete di comunicazioni dell’Impero. Sebbene andata perduta, la sua influenza è rintracciabile nella Tabula Peutingeriana, una mappa itineraria di età romana, tramandata in copia medievale. La sua struttura schematica e non geografica, centrata sulle vie di comunicazione, ne testimonia la finalità pratica.

Le carte itinerarie e la Tabula Peutingeriana.
Le carte itinerarie erano strumenti destinati alla logistica militare e commerciale. Non rappresentavano le terre secondo scala o proporzione, ma evidenziavano le strade, le stazioni di posta (mansiones), le distanze tra le tappe. Erano vere e proprie mappe funzionali, “compressioni” del paesaggio ridotte alla dimensione stradale. La Tabula Peutingeriana, unica superstite di questo genere, è una pergamena lunga oltre sei metri, che mostra circa 200mila km di strade, 555 città e più di 3.000 elementi geografici. Il documento riflette sia fonti tardo-romane (IV sec. d.C.) sia influssi ellenistici più antichi. Nonostante la sua rappresentazione fortemente distorta, essa costituisce una fonte insostituibile per lo studio della rete viaria romana.

Geografia e cosmografia nella tarda antichità.
Pomponio Mela (I sec. d.C.), autore della Chorographia, è considerato il primo geografo romano di lingua latina. La sua opera, in tre libri, è una descrizione regionale del mondo allora conosciuto, comprendente anche l’Africa subsahariana e le isole britanniche. La sua conoscenza del Nord Europa, ad esempio le Orcadi, suggerisce l’accesso a informazioni aggiornate fornite dai militari o dagli amministratori romani. Nel V secolo, Teodosio Macrobio elaborò una visione cosmografica di matrice neoplatonica, in cui la Terra è considerata una sfera di piccole dimensioni rispetto al cosmo. Nella sua interpretazione del Somnium Scipionis di Cicerone, egli identificò cinque zone climatiche (fredda, temperata, torrida), anticipando modelli geografici successivi. Le sue mappe, tramandate nei manoscritti medievali, costituiscono una delle testimonianze più emblematiche della continuità della cartografia classica.