di Guido Keller –
Nuova ondata di raid della coalizione internazionale sulle postazioni dell’Isis in Siria: dopo Raqqa, considerata la “capitale” del Califfato, decine di obiettivi sono stati colpiti presso diverse località del nord della Siria, in particolare della provincia di Deir Ezzor, nel tentativo di tagliare le comunicazioni e i rifornimenti fra i miliziani jihadisti. Postazioni dell’Isil sono state distrutte non lontano da Ain al-Arab, città curdo-siriana che gli jihadisti volevano conquistare per la posizione strategica e che ha visto la fuga generale di 130mila abitanti verso il confine turco.
Gli attacchi sono stati confermati dall’Osservatorio siriano per i diritti umani, organizzazione vicina alle opposizioni con sede a Londra, il quale ha riferito che “Prima e dopo la mezzanotte aerei venuti dalla Turchia hanno lanciato diversi attacchi su postazioni e vie di rifornimento dell’Isis”, ed il direttore dell’Osservatorio, Rami Abdel Rahman, ha aggiunto che obiettivi sono stati centrati a 35 km. a ovest di Kobane, città curdo-siriana situata nei pressi della Turchia che con il proprio interland conta 500mila abitanti e che negli ultimi tempi ha resistito oltremodo all’avanzata dell’Isil.
A quanto si è saputo, nella notte sarebbe stato ucciso Abu Yousef al-Turki, detto “il Turco”, leader di Jabat al-Nusra, gruppo jihadista legato ad al-Qaeda che combatte in Siria contro al-Assad e che negli ultimi tempi ha ricomposto i dissidi con l’Isil. Per unirsi nella lotta comune.
I raid sulla Siria sono portati avanti dall’aviazione Usa col supporto di Giordania, Arabia Saudita, Emirati, Bahrein e Qatar, paesi ringraziati in modo ufficiale dal presidente degli Stati Uniti, Barak Obama, in un incontro organizzato dal Segretario di Stato John Kerry alla vigilia dell’Assemblea delle Nazioni Unite.
Rimane il fatto che l’Isil, come Jabat al-Nusra, sono formazioni di jihadisti create e finanziate proprio dalle monarchie del Golfo (in particolare dal Qatar) e dagli Stati Uniti per combattere in Siria Bashar al-Assad, alleato di Mosca (a Tartus vi è una fornitissima base militare russa, fino a poco fa l’unica in un panorama che dal Marocco al Kirghizistan, con l’esclusione di Siria e Iran, vedeva basi Usa): “un Frankenstein che ora è venuto a tormentare i suoi creatori”, come lo ha definito qualche giorno fa il ministro degli Esteri iraniano, Mohammad Javad Zarif.
Un pasticcio, insomma, che presenta due risvolti pressoché certi, ovvero la diminuzione della pressione sull’esercito di Bashar al-Assad, e la possibilità per la Russia di intervenire anch’essa contro l’Isil in Siria, tant’è che solo due gironi fa il portavoce del Cremlino, Dmitri Peskov, ha riferito che “I membri permanenti del Consiglio di sicurezza si sono consultati sulle possibili forme di interazione con altri partner sul piano della lotta all’Isis, nell’ambito del diritto internazionale”.
Un altro risvolto allarmante è rappresentato dalle possibili infiltrazioni di jihadisti in Occidente per compiere attentati vendicativi: della presenza di europei, spesso di origine nordafricana e mediorientale, nelle file dell’Isil se ne è parlato molto, come pure della possibilità che alcuni di questi potrebbero essere stati istruiti per portare il terrore ad ovest.
Oggi il ministro degli Esteri del governo autonomo di Kobani ha riferito che durante gli scontri tra curdi e militanti dell’Isis a Kobani sono stati catturati tre europei di origini arabe, due francesi e un belga.












