di Francesco Giappichini –
Appare senza freni, l’impennata commerciale tra America latina e Cina. Mentre, trainate dal Brasile, nel 2023 hanno segnato nuovi record le esportazioni che dal subcontinente hanno viaggiato verso la nazione asiatica. Il dato che ha innescato l’interesse mediatico riguarda i 480 miliardi di dollari che, secondo l’Amministrazione generale delle dogane cinese, ha raggiunto l’interscambio commerciale tra Cina e Latinoamerica. Scambi peraltro equilibrati: il commercio tra le due aree vede un lieve surplus a favore dell’America Latina pari a due miliardi di dollari. Beninteso, l’intensificazione dei vincoli commerciali non è stata uniforme, e se in alcuni Paesi si registra un saldo positivo, altrove prevalgono le importazioni, e si segnala quindi un deficit.
La tendenza è iniziata dopo il 2000, anno in cui l’interscambio su questa rotta commerciale ammontava a soli 14 miliardi di dollari. Ciò significa che, in soli 23 anni, il valore degli scambi con Pechino si è moltiplicato di ben 35 volte; mentre il commercio totale della regione con il mondo è quadruplicato. E l’ultimo aumento, quello appunto registrato nel ’23, ha anche implicazioni d’immagine, se non geopolitiche: permette alla Cina di scavalcare l’Unione Europea (Ue), e di affermarsi come secondo partner commerciale per l’insieme dei paesi latinos, dietro gli Stati Uniti. Vista da Pechino, si tratta di un’espansione quanto mai importante, in una fase in cui il commercio estero rappresenta un punto dolente per l’economia nazionale: l’export cinese è indebolito non solo dall’inflazione su scala globale, o dalla «guerra invisibile» con gli Stati Uniti, ma anche da nuovi orientamenti strategici.
Ad esempio Bruxelles punta sia a ridurre il deficit commerciale (intervenendo sulle importazioni), sia a dar corpo al noto slogan «de-risking, non decoupling», coniato dalla presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen: ossia, ridurre la dipendenza strategica, senza interrompere i più vantaggiosi rapporti commerciali. Limitando l’analisi all’export, si può osservare che a far la parte del leone sono i primi cinque Paesi della classifica, cioè Brasile, Cile, Perù, Messico ed Ecuador. Un ranking di cui Quito rappresenta senz’altro la sorpresa, riuscendo a sopravanzare, nell’ordine, Argentina e Colombia. Secondo dati della Commissione economica per l’America Latina e i Caraibi (Cepal), la gran parte dell’export latinoamericano verso il Paese del Dragone è concentrato in sei prodotti, che insieme rappresentano il 72% del totale.
Si tratta di soia, rame, minerali ferrosi, petrolio, catodo di rame e carne bovina. L’import invece riguarda soprattutto prodotti manifatturieri: se il fenomeno ha permesso a tante famiglie di accedere a beni di consumo prima inarrivabili, dall’altra parte è venuta meno gran parte della produzione locale. Osservando i singoli Paese, si deve iniziare dal Brasile, primo socio commerciale di Pechino nell’area. Nel 2023 l’interscambio con la Repubblica popolare ha superato i 181 miliardi di dollari, per un surplus verdeoro pari a 63 miliardi. Sì, l’economia brasiliana è tra le poche al mondo a vantare un saldo positivo con gli asiatici. E cosa vende il Gigante sudamericano? Dietro la soia, che vale per oltre il 35%, si segnalano ferro, petrolio e carne bovina congelata. Segue il Cile, di cui la Cina è primo partner commerciale. Il suo export, pari a 43 miliardi di dollari, è costituito soprattutto dal rame, ma va segnalata anche la frutta (specie uva e ciliegie).