America Latina e Caraibi. Tempi diversi per superare gli effetti economici della pandemia

di Paolo Menchi

Il programma delle nazioni unite per lo sviluppo, la cui sigla in inglese è UNDP (in spagnolo è PNUD), è un’organizzazione nata nel 1965 per assecondare e promuovere una serie di azioni volte a migliorare le condizioni dei paesi sottosviluppati; è formato dai rappresentanti di 48 Stati membri, di cui 27 vengono scelti fra i Paesi in via di sviluppo e 21 tra quelli a economia avanzata.
Secondo un’analisi appena pubblicata dal UNDP le conseguenze economiche derivanti dalla pandemia sono state meno catastrofiche di quanto previsto un anno fa, ma questo non significa che non siano gravi.
Si calcola che nella regione dell’America Latina e dei Caraibi una nazione su tre soffra di “vulnerabilità finanziaria”, secondo un calcolo che tiene in considerazione il livello del debito, la liquidità e la capacità di rimborsare i debiti contratti.
Dei 40 paesi della zona, 14 sono ritenuti vulnerabili mentre altri 5 (Argentina, Venezuela, Ecuador, Granada e Belize) sono stati definiti a “vulnerabilità severa”, ma proprio per la maggior parte di queste nazioni a rischio più elevato non si applicano le misure previste a livello internazionale per alleviare le problematiche economiche, come la moratoria sul debito approvata dal G20 o gli aiuti del FMI e quindi tendono a peggiorare ancora. Nella zona latino americana e caraibica possono accedere a queste misure solo Nicaragua, San Vicente e Grenadine, Honduras, Dominica e Haiti, restano quindi escluse le nazioni in difficoltà che hanno il maggior numero di abitanti.
La UNDP teme che senza aiuti per tutti i paesi bisognosi, quelli già in maggiore affanno, oltre a rischiare il default non potranno riprendersi anche dopo la fine dell’emergenza pandemia.
Intanto la Banca Mondiale ha pubblicato uno studio in cui si evidenzia come la zona latino americana sia stata tra le più colpite dalle conseguenze sia sanitarie, in particolare Brasile e Messico, che economiche del Covid 19, pur evidenziando conseguenze meno nefaste di quanto fosse stato previsto; infatti nel 2020 il Pil è diminuito del 6,7% contro il 7,9% preventivato mentre per il 2021 oggi si prevede un rimbalzo del 4,4% contro il 4% messo in conto qualche mese fa.
Proseguendo di questo passo alla fine del 2022 verrebbe recuperato il livello di Pil esistente prima della pandemia, quasi un anno prima del previsto. Ma all’interno della zona non tutti i paesi avranno la stessa tempistica, e se Paraguay e Guatemala, nonostante la loro povertà, saranno gli unici che entro l’anno torneranno ai livelli del Pil del 2019, ci sono paesi che raggiungeranno tale obiettivo nei tempi previsti per la media della regione come Brasile, Cile, Colombia, Perù, Uruguay, Costa Rica, Repubblica Dominicana, Saint Vincente e Grenadine. Peggiori sono le previsioni per Messico, Bolivia, Panama, El Salvador, Honduras e Nicaragua, che raggiungeranno l’obiettivo entro la fine del 2023, mentre Argentina, Ecuador Haiti, Giamaica, Bahamas, Barbados, Belize, Dominica, Santa Lucia e il Suriname dovranno attendere il 2024.
Nella zona c’è una piccola nazione, la Guyana, che ha da poco trovato un grosso giacimento petrolifero e che ha continuato a crescere a doppia cifra anche durante la pandemia, mentre il Venezuela non è stato preso in considerazione dalla Banca Mondiale e non fa parte dello studio previsionale.