Ancora disatri ambientali causati dalle petroliere

di C. Alessandro Mauceri

A poche settimane dal disastro ecologico causato dal naufragio di una petroliera vicino alle coste delle Mauritius, sono stati rilevati nel mondo diversi altri casi analoghi. Con enormi rischi per l’ambiente.
Il primo lungo le coste del Venezuela, dove la Nabarima, una petroliera con petrolio per decine e decine di migliaia di barili a bordo, ha cominciato ad imbarcare acqua nell’area della sovrastruttura e nella sala macchine (in alcuni compartimenti l’acqua ha raggiunto un’altezza di oltre 1,5 metri). A rendere più complicata la situazione le sanzioni degli Stati Uniti contro il governo di Nicolàs Maduro dato che la Nabarima batte bandiera venezuelana ed è proprietà della Petrosucre, una joint venture controllata dalla compagnia statale Petróleos de Venezuela (PDVSA) di cui ENI è socio di minoranza al 26%. Fonti ufficiali dell’ENI hanno cercato di rassicurare circa i rischi di un disastro ambientale di dimensioni storiche affermando che la nave è intera e che i compartimenti non presentano lesioni. Sarebbero in corso operazioni per cercare di trasferire su un’altra imbarcazione tutto il carico. Nei giorni scorsi, però, Eudis Girot, leader di un sindacato venezuelano antigovernativo, ha pubblicato alcune foto che mostravano l’inclinazione della nave e la sala macchine invasa dall’acqua, lanciando l’allarme sul rischio di sversamento di petrolio nel Mar dei Caraibi. Alcuni media hanno parlato addirittura di una nave “sul punto di affondare”.
Dal canto suo, ENI ha ribadito che “le condizioni della nave sono stabili e un recente ingresso d’acqua ci risulta essere già stato risolto”. L’incontro tra i responsabili dell’ENI e i funzionari americani è stato però più volte rinviato impedendo così di intervenire per mancanza della dovuta autorizzazione. “L’utilizzo di un tanker a posizionamento dinamico e servizi tecnici,” ha dichiarato l’ENI “per essere implementato, richiede un nulla osta in virtù delle sanzioni USA”. Il rischio di versamento in mare è concreto non solo per l’assenza di personale a bordo pronto ad intervenire, ma anche per quello che è avvenuto non più tardi di un mese fa quando il petrolio fuoriuscito da un altro impianto di PDVSA, la raffineria di El Palito, ha inquinato le coste caraibiche per chilometri.
Incidenti e disastri ormai si ripetono con una frequenza preoccupante. Ad Agosto una petroliera e una nave da carico si sono scontrate al largo della costa di Shanghai, in Cina a circa 1,5 miglia nautiche a sud-est della foce del fiume Yangtze. Dopo la collisione, la petroliera ha preso fuoco e la nave da carico è affondata. Tre persone sono state salvate e altre 14 persone sono disperse. Diverse navi, anche della guardia costiera, sono state inviate sul posto per spegnere le fiamme. Anche in questo caso, poco chiare le circostanze che hanno causato l’incidente. La petroliera che trasportava circa 3mila tonnellate di benzina, potrebbe aver riversato in mare una grande quantità di petrolio, anche se i filmati disponibili non sono ancora chiari sull’accaduto.
Nell’oceano indiano un altro disastro ambientale minaccia le acque incontaminate e le coste dello Sri Lanka: la New Diamond, una superpetroliera con 2milioni di barili di greggio, ha preso fuoco facendo temere una nuova grave fuoriuscita di petrolio nell’Oceano Indiano. Dalla nave, in viaggio dal Kuwait al porto indiano orientale di Paradip, è stato lanciato un segnale di soccorso mentre si trovava a 60 chilometri (38 miglia) dalla costa orientale dello Sri Lanka. Le 22 persone d’equipaggio, 23 persone, di cui cinque greci e 17 filippini, hanno lasciato la nave, uno dei marinai filippini è morto a bordo a causa dell’esplosione nella sala macchine. In poche ore la nave in fiamme e alla deriva si è spostata fino a pochi chilometri dalle coste Sri Lanka. La marina dello Sri Lanka e la guardia costiera indiana sono intervenute con cannoni ad acqua e un elicottero dell’aviazione ha gettato dell’acqua sulla New Diamond nel tentativo di spegnere le fiamme. Altre navi della marina indiana si stavano dirigendo sulla scena per aiutare a combattere l’incendio. La petroliera trasportava 270.000 tonnellate di greggio e 1.700 tonnellate di diesel. Come nel caso avvenuto in Venezuela, la società proprietaria della nave ha cercato di minimizzare l’accaduto: “Non è così grave come sembra”, ha dichiarato Sudantha Ranasinghe, capo della DMC, “Il fuoco non si è diffuso al carico. Una volta spento il fuoco, la nave verrà rimorchiata più lontano in acque più profonde”. Per farne cosa? Affondarla? Scaricare in mare lontano da occhi indiscreti?
Le autorità dello Sri Lanka temono un disastro ambientale senza precedenti. Dharshani Lahandapura, presidente dell’Autorità per la protezione dell’ambiente marino (MEPA) dello Sri Lanka, ha avvertito che una fuoriuscita di petrolio dalla nave sarebbe “uno dei più grandi disastri ambientali non solo nella regione ma nel mondo”. La nave, che potrebbe esplodere da un momento all’altro, è molto più grande della nave giapponese MV Wakashio, che si è schiantata contro una barriera corallina a Mauritius nel mese luglio, riversando migliaia di tonnellate di petrolio nelle acque incontaminate della nazione insulare.
Per questo motivo MEPA avrebbe intrapreso un’azione legale contro i proprietari della nave in caso di fuoriuscita. “Abbiamo presentato una denuncia alla polizia di zona e abbiamo chiesto il parere del procuratore generale sulla questione”, ha detto. Anche le autorità delle Maldive (le isole che si trovano a circa mille chilometri a sud-ovest dello Sri Lanka) hanno espresso la preoccupazione che una possibile fuoriuscita di petrolio dal New Diamond potrebbe causare gravi danni ambientali.
Il ministro delle Maldive presso l’ufficio del Presidente, Ahmed Naseem, ha chiesto l’adozione di misure precauzionali nell’arcipelago dell’Oceano Indiano costituito da 1.192 isole coralline. “Le Maldive devono guardare con attenzione questa fuoriuscita di petrolio e prendere tutte le precauzioni per evitare che raggiunga le sue coste”, ha detto Naseem su Twitter. “Questo potrebbe essere un grave disastro”.
Come le Mauritius, anche l’economia delle Maldive dipende essenzialmente dalla pesca e dal turismo e il paese ha uno dei sistemi corallini più belli al mondo. Paradisi naturali messi in serio pericolo sempre più spesso, ogni giorno che passa.