Biden, i sauditi e l’elemento Iran

di Dario Rivolta * –

Il bombardamento americano contro i proxi iraniani in Siria e la pubblicazione del rapporto dei servizi segreti contro Mohamed bin Salman sono slegati tra loro solo apparentemente.
Formalmente il bombardamento aereo che ha causato probabilmente 22 vittime tra i miliziani rappresenta un atto di ritorsione contro i missili lanciati il 15 febbraio da fiancheggiatori iraniani sulla base americana vicina a Erbil. L’altro, il rapporto americano che identifica nel principe ereditario Mohamed bin Salman il mandante dell’omicidio del giornalista saudita Jamal Kashoggi (avvenuto nel consolato saudita di Istanbul) è stato reso pubblico il 26 febbraio. Da tempo tutto lasciava pensare che si era trattato di un assassinio voluto dal vertice del regime di Riad ma, volutamente, Trump aveva deciso di non renderlo pubblico. La ragione della sua “discrezione” stava sia in motivi politici che più decisamente in quelli economici legati all’enorme acquisto di armamenti americani che Trump aveva firmato proprio con bin Salman.
Il legame tra i due eventi sta nei messaggi che lanciano.
Ancora prima di essere eletto Biden aveva annunciato la sua intenzione di riallacciare i contatti con l’Iran e ridare vita al JCPOA, l’accordo sul nucleare. Su questa strada tuttavia gli ostacoli sono enormi, sia dentro il mondo politico statunitense sia a causa degli equilibri interni iraniani legati alle prossime elezioni presidenziali. Ancora recentemente il Grande ayatollah Khamenei aveva dichiarato che “l’Iran ha il diritto di dettare condizioni per la prosecuzione del JCPOA”, e aveva chiesto che, prima di decidere la possibile ripresa dei negoziati, gli USA avrebbero dovuto revocare interamente tutte le sanzioni in corso. A questi ostacoli si aggiungono la palese ostilità di Arabia Saudita e Israele contro l’ipotesi di un nuovo accordo con Teheran.
Il bombardamento è un segnale agli iraniani che esiste la disponibilità ad una intesa accordo, ma che gli americani non intendono rinegoziarla a qualunque costo. Al contrario sono disposti a farlo ma solo da una posizione di forza o almeno di parità. Contemporaneamente l’attacco informa di questo approccio anche gli alleati sauditi e israeliani con l’intento di rassicurarli, seppur in parte.
La pubblicità delle accuse dirette a Bin Salman e le sanzioni accese contro molti uomini del suo staff dicono invece a Riad che l’amicizia degli Stati Uniti non è garantita al 100% e che comunque chi può dettare le condizioni, sia chiaro, sarà Washington. Il fatto che, pur riconoscendone la responsabilità, non si sia sottoposto a sanzioni lo stesso principe ereditario è un modo di mostrare la volontà di tenere la porta aperta, ma nello stesso tempo Biden ha ostentatamente rifiutato di interloquire con lui e ha voluto parlarne solo son il re formalmente in carica, Salman Bin Abdul Aziz al-Saud.
Da parte loro i sauditi sembrano avere abbozzato, ma simbolicamente anch’essi hanno mosso le proprie carte lasciando trapelare la possibilità che il Regno possa allacciare rapporti diplomatici ufficiali con Israele, così come hanno già fatto gli Emirati Arabi Uniti e il Bahrein. Per ora si tratta di una semplice ipotesi, anche se tutti sanno che contatti molto riservati tra Tel Aviv e Riad esistono già da lungo tempo. Gli interessi comuni tra i due Paesi sono risaputi e in modo particolare li accomuna il timore per l’espansionismo iraniano nell’area. Qualora le relazioni saudite con gli americani dovessero prendere una piega indesiderata, Riad cercherebbe di contare su Israele come carta di riserva, magari partendo dal fatto che Benjamin Netanyahu non ha con Biden gli stessi rapporti ottimali avuti con Trump.
In politica internazionale le variabili sono infinite, come sempre succede, e nel panorama medio orientale giocano due altri protagonisti che mostrano da tempo il desiderio di “esserci”: la Russia e la Cina. I primi hanno protestato a voce alta contro l’azione degli aerei americani in Siria, ma hanno anche ammesso di essere stati informati cinque minuti prima dell’attacco. In cuor loro, pur dicendo il contrario, non si può pensare che ne siano stati veramente dispiaciuti. L’Iran è per loro un alleato ma ciò non significa “fratello”, e un Iran debole o isolato dall’occidente avrà sempre più bisogno di Mosca. Da parte loro, i cinesi come d’abitudine non si vogliono intromettere ufficialmente in questioni che non li toccano da vicino ma, anche per loro, l’Iran potrebbe rappresenta un “cliente” in più e un possibile peggioramento dei rapporti tra gli USA e i sauditi obbligherebbe questi ultimi ad intensificare i rapporti (già esistenti) con Pechino.

* Già deputato, è analista geopolitico ed esperto di relazioni e commercio internazionali.