Biden, ‘Via tutti dall’Afghanistan’. Ma non è un disimpegno: è la ritirata che segue la sconfitta

La situazione nel paese, sempre più in mano ai talebani, dopo 20 anni di guerra è peggiorata sotto ogni profilo. A guadagnarci solo l’industria bellica a stelle e strisce.

di Enrico Oliari

In assoluta coerenza con le scelte fatte dalla precedente amministrazione Usa e Nato, le rimanenti forze statunitensi e alleate inizieranno il 1 maggio il ritiro dall’ Afghanistan, dopo 20 anni di guerra contro che ha comportato la morte di almeno 300mila civili.
Quella annunciata dal presidente Joe Biden dalla sala dei Trattati della Casa Bianca non è, come la si vuol far passare, una ritirata strategica. E’ semmai una vera e propria sconfitta come fu quella del Vietnam, tant’è che se nel 2001 i talebani controllavano il 30 per cento del territorio, oggi ne controllano il 70 per cento.
Il segretario di Stato Usa Antony Blinken ha spiegato poi che gli alleati della Nato “insieme sono andati in Afghanistan, insieme hanno adattato la loro presenza sul campo e insieme lasceranno il Paese”, ma se il presidente Ashraf Ghani ha assicurato che “abbiamo forze addestrate sufficienti per garantire la sicurezza, è plausibile sostenere che gli scontri e le violenze sono destinati tutt’altro che a essere sopiti. Questo perché la realtà talebana non è monolitica, bensì frammentata in una costellazione di sottogruppi spesso autocefali e in contrasto fra loro, come pure nel paese si sta affermando l’Isis, il quale conta a suon di attentati di fare dell’Afghanistan un volano da cui espandersi nei paesi limitrofi dell’Asia centrale.
L’intenzione di Biden è quella di “lasciare il paese” entro la data simbolica dell’11 settembre, ed ha affermato che “l’obiettivo” del conflitto “è stato raggiunto con l’uccisione di Osama bin Laden”, ma le cose stanno diversamente.
La guerra iniziata da George W. Bush a seguito dell’attacco alle Torri Gemelle è stata portata avanti nella retorica occidentale “per portare pace e democrazia”, e per chi non ha la memoria corta “perché le donne sono costrette a portare il burqa”, ma è un dato di fatto che la situazione sociale nel paese asiatico è assai peggiorata e non migliorata negli ultimi 20 anni.
In realtà lo scopo, anzi gli scopi degli Usa erano puramente geostrategici: l’amministrazione statunitense aveva infatti proprie basi dal Marocco al Kinghizistan tranne che in Libia (guerra), in Siria (guerra), in Iraq (guerra), in Iran (tensioni) e appunto in Afghanistan, come pure bisogna considerare che quella bellica con il relativo indotto è un’industria che fa girare imponenti quantità di miliardi di dollari, uno dei pilastri dell’economia a stelle e strisce.
Per Biden, che ha dato l’annuncio dell’accordo con gli alleati nello stesso momento in cui a Bruxelles era in corso la riunione Esteri della Nato, “Solo gli afghani hanno il diritto e la responsabilità di guidare il loro Paese”, una frase che vuol dire tutto e non dire nulla, dal momento che avevano lo stesso diritto anche prima che gli occidentali invadessero il paese e che subissero la stessa sconfitta dei sovietici avvenuta nel 1989.
Il ministero degli Esteri italiano Luigi Di Maio ha commentato che “Si è appena conclusa una giornata storica per la Nato, dopo 20 anni di presenza in Afghanistan si è raggiunta una decisione storica: dal primo maggio inizierà il ritiro delle truppe della Nato da quel Paese, e quindi anche quelle italiane”. Ha poi aggiunto che l’Italia “non abbandonerà mai il popolo afghano”, “Continueremo ad aiutare anche di più con progetti di cooperazione allo sviluppo, con il sostegno alle imprese e alla società civile, la tutela dei diritti umani“.
Anche in questo caso le cose stanno diversamente: la guerra dell’Afghanistan è costata all’Italia circa 10 miliardi di dollari, ed al di là dei proclami non si capisce a quali benefici il ministro alluda.