Bolivia. Continua la crisi istituzionale in attesa di nuove elezioni

di Alberto Galvi

La Bolivia sta vivendo una delle crisi politiche difficili della sua storia dopo le dimissioni del 10 novembre scorso di Evo Morales dopo che aveva vinto le elezioni lo scorso 20 ottobre ed era diventato presidente per il suo quarto mandato. Il principale problema adesso è quello di trovare un accordo fra le varie forze politiche che non escluda dalle prossime elezioni il MAS (Movimiento Al Socialismo) e la sua classe dirigente.
Le dimissioni del presidente boliviano Evo Morales, sotto la pressione dell’esercito, hanno fatto precipitare la Bolivia in un vuoto di potere senza precedenti. Quasi tutte le principali cariche dello stato si sono dimesse, a cominciare dal vice presidente Álvaro García Linera e proseguendo con la presidente del senato Adriana Salvatierra e i suoi due primi vice presidenti e  Víctor Borda, il presidente della Camera.
Alla fine è stata nominata presidente ad interim la terza vicepresidente del Senato, Jeanine Añez, che fa parte del partito di opposizione MDS (Movimento Democratico Sociale). Questa crisi vede però uno scontro istituzionale in quanto i parlamentari del MAS il partito di Morales, credono che le dimissioni del leader indigeno, costretto dal comandante in capo delle forze armate, Williams Kaliman Romero siano il risultato di un colpo di stato.
Nel frattempo le organizzazioni sindacali dei cocalero di Cochabamba che sono fedeli a Morales non si arrendono e chiedono le dimissioni immediate della presidente ad interim Jeanine Áñez e di far di tornare in Bolivia Morales per terminare il suo mandato fino a gennaio 2020. Intanto i gruppi radicali allineati al MAS incoraggiano la guerra civile con il desiderio che Evo Morales ritorni nel paese. 
Il governo di Jeanine Áñez ha annunciato nei prossimi giorni che presenterà una denuncia internazionale contro Evo Morales dinanzi alla CPI (Corte Penal Internacional) per crimini contro l’umanità. Le accuse mosse nei suoi confronti riguardano le violenze e i disordini da lui coordinati in diverse città del paese. Queste accuse sarebbero sostenute da un audio attribuito al leader in cui mobilita i suoi sostenitori a bloccare le entrate nella capitale per far pressione sul governo della Áñez.
Mentre dilagano le violenze nel paese il dialogo tra le forze politiche continua. Questi incontri si svolgono con la mediazione della chiesa cattolica, dell’Unione europea e del governo spagnolo, per realizzare una transizione pacifica alla crisi sociale e politica del paese andino.
I politici del MAS in queste riunioni chiedono che sia consentito il ritorno dell’ex presidente in Bolivia e che al MAS non sia impedito di partecipare alle nuove elezioni. Intanto Morales dal Messico sta cercando in tutti i modi di evitare che si raggiunga un accordo tra le parti per destabilizzare il paese e quindi l’attuale governo.
Negli ultimi incontri erano presenti membri del nuovo governo provvisorio, come il ministro Serse Giustiniano, i membri dell’assemblea MAS, come Adriana Salvatierra, Teresa Morales e Susana River. In quelli precedenti erano presenti anche i leader dell’opposizione come Samuel Doria Medina del FUN (Frente de Unidad Nacional) e Carlos Mesa della CC (Comunidad Ciudana).
Nel frattempo il consiglio permanente dell’OAS (Organización de Estados Americano) spinge la Bolivia a convocare a breve le elezioni. Questa risoluzione dell’OAS è stata approvata da 26 dei 34 membri del consiglio. La presidente ad interim della Bolivia, Jeanine Áñez, ha intanto presentato un disegno di legge al congresso per indire elezioni generali che potrebbero porre fine alla grave crisi politica a cui il paese è stato sottoposto da un paio di settimane.
Il progetto di legge proposto dal governo permetterà di annullare il risultato delle elezioni precedenti e di terminare questo processo di transizione per indire presto delle nuove elezioni, al fine di ripristinare l’ordine democratico del paese.
Questa soluzione però non risolverà i problemi che hanno portato il presidente Morales a ottenere ben 4 mandati in questi anni a discapito della democrazia. Morales e il MAS rappresentano il popolo indigeno boliviano e da sempre tutelano i loro interessi.
Il prodotto nazionale boliviano è la foglia di coca che viene coltivata dal popolo indigeno per il proprio consumo interno e non come viene utilizzata dai narcotrafficanti che la trasformano chimicamente in cocaina per esportarla nei paesi occidentali.
Il governo americano attraverso la DEA (Drug Enforcement Administration) aveva deciso di combattere il flusso di droga che dalla Bolivia entrava negli Stati Uniti, ma alla fine danneggiarono solo i piccoli coltivatori di coca e non i grossi narcotrafficanti.
Inoltre le organizzazioni indigene rimproveravano al governo Mesa e non solo, la cattiva gestione delle risorse naturali, a favore delle multinazionali dei paesi occidentali. Per questa ragione i cocalero si sono riuniti in organizzazioni sindacali con a capo Morales, che poi è diventato il presidente del paese per così tanto tempo.
Morales governando per 3 mandati consecutivi ha portato la Bolivia al logoramento delle sue istituzioni democratiche, ma adesso bisognerà vedere chi dei leader delle opposizioni riuscirà a vincere le prossime elezioni e se le loro ricette economiche non faranno aumentare ulteriormente le diseguaglianze sociali nel paese andino.
In questi anni molti paesi dell’America Latina sono passati da governi di sinistra a governi conservatori come in Brasile, Cile ed Ecuador dove le proteste tra la popolazione sono aumentate a causa dell’incremento delle diseguaglianze tra ricchi e poveri.

Evo Morales.