di Paolo Menchi –
L’arresto dell’ex presidente della Bolivia Jeanine Añez per “terrorismo, sedizione e cospirazione” sta facendo molto discutere. A cominciare dal fatto che possa trattarsi nella realtà di una vendetta politica, sempre che non venga dimostrata la fondatezza delle accuse addebitate.
Con la donna sono stati arrestati, con le stesse accuse, anche gli ex ministri dell’Energia Rodrigo Guzmán e della Giustizia Álvaro Coimbra. Ordini di cattura sono stati spiccati anche per gli ex ministri Arturo Murillo, Yerko Nuñez e Luis Fernando López. In totale la giustizia boliviana sta braccando almeno altre dieci persone che hanno fatto parte del governo precedente, alcuni già scappati all’estero.
Come si ricorderà, nel novembre 2019, al termine di una tornata elettorale molto contestata che aveva visto Evo Morales affermarsi per la quarta volta consecutiva, le violente proteste di piazza organizzate dall’opposizione avevano costretto il presidente, per salvaguardare la propria incolumità, all’esilio prima in Messico e poi in Argentina, ed avevano fatto gridare al golpe.
Per circa un anno, in attesa delle elezioni dello scorso autunno, la Bolivia è stata governata da un esecutivo di centro destra guidato dalla Añez, che si era distinta subito per la rottura delle relazioni diplomatiche con Cuba e Venezuela e per aver dato il via ad alcune privatizzazioni.
La vittoria abbastanza inaspettata alle elezioni di novembre da parte del candidato del partito di Morales, Luis Arce, ha riportato in Bolivia anche l’ex presidente Morales, secondo l’opposizione anche con un gran desiderio di vendetta.
L’attuale governo nega di volersi prendere delle rivincite, ma ritiene che sia doveroso condannare gli autori di un colpo di stato che, con la conseguente repressione delle proteste, aveva provocato decine di morti e feriti negli scontri con polizia ed esercito. Lo scorso febbraio il congresso aveva approvato una legge che concedeva l’amnistia a tutti coloro che avevano manifestato a favore di Morales e che erano stati arrestati durante gli scontri seguiti al presunto golpe.
In favore della Añez si sono pronunciati i vescovi boliviani, che hanno denunciato arresti “senza tener conto delle garanzie costituzionali minime o addirittura della presunzione di innocenza, che conferma un modo di agire che purtroppo abbiamo visto nel sistema giudiziario, che lascia alcuni impuniti e criminalizza altri, a seconda del potere politico del momento”.
Piuttosto ambigua la posizione del segretario generale dell’OAS (organizzazione degli stati americani) Luis Almagro, il qaule non può che difendere la posizione della Añez, visto che era stato tra quelli che nel 2019 avevano gettato ombre sulle elezioni che avevano portato alla rielezione di Morales ed avevano favorito quindi il nuovo governo ad interim.
Il governo Arce ha dichiarato più volte di non accettare ingerenze né da parte di organizzazioni internazionali né di altri stati riguardo la politica interna, facendo intendere chiaramente che andrà avanti con le imputazioni.
È probabile che gli arresti possano essere considerati atti di giustizia più che di vendetta, ma è necessario che vengano rispettati tutti i diritti costituzionali in un paese ormai aspaccato politicamente in due e che avrebbe bisogno di pacificazione più che di vendette.