Bolivia. Polizia contro indios e sindacati contro Morales. Ma c’è l’ombra degli USA dietro le contestazioni per la strada nell’Amazzonia

di Enrico Oliari –

Domenica 25 settembre a Yucumo, in Bolivia, vi erano stati violenti scontri fra la polizia e gli indios, i quali protestavano contro la costruzione di una strada di 366 chilometri, sollecitata da molte comunità e villaggi, che sarebbe passata in piena Amazzonia, nel Parque Iseboro Secure: fra manganellate e gas lacrimogeni decine di manifestanti erano rimasti feriti, mentre altri si erano dati alla fuga fra la fitta vegetazione. Era stato lo stesso Morlales a definire ‘imperdonabile’ la violenza usata contro gli indios e da lì a pochi istanti il presidente boliviano aveva fra le mani le dimissioni del ministro della Difesa Cecilia Chacon, dell’Interno Sacha Llorenti e del suo vice Marcos Farfan,
A sollecitare la risposta ferma contro gli indios amazzonici era stato il capo di gabinetto Carlos Romero, il ministro dei Trasporti Walter Delgadillo e quello della Giustizia Nilda Copia, ma le manifestazioni sono comunque continuate il giorno dopo con uno sciopero generale di 24 ore convocato dalla Centrale Operaia in solidarietà con gli indigeni,
Un’inchiesta sui disordini è stata aperta dal procuratore generale dello Stato Mario Uribe, il quale ha poi spiegato la sua intenzione di interrogare l’ormai ex ministro Llorenti ed i poliziotti che hanno partecipato alla repressione avvenuta domenica a San Miguel de Chaparina.
Lo stesso Evo Morales, socialista, è di origine indigena ed è stato in passa leader del movimento sindacale dei cocaleros boliviani, una federazione di contadini quechua e aymara coltivatori di coca  in perenne lotta con gli Stati Uniti che vorrebbero la distruzione delle coltivazioni nella provincia di Chapare, ma a renderlo inviso ai paesi occidentali è stato il suo programma di nazionalizzazione e la tassazione delle aziende straniere impegnate nell’estrazione del gas naturale di cui la Bolivia detiene il secondo giacimento del Sudamerica (747,2 milioni di metri cubi). Alla base delle nazionalizzazioni promosse da Morales c’è la necessità di sostenere le politiche sociali in un paese sfruttato dalle potenze occidentali, ma la cui popolazione è costretta a vivere in stato di indigenza tanto che le famiglie sono costrette ad impiegare i propri figli nel lavoro già a partire da 7 anni.
Nel 2008 Morales aveva espulso l’ambasciatore Usa, Philip Goldberg, accusandolo di cospirazione politica, ma solo un mese fa il governo boliviano aveva provveduto all’allontanamento dell’agenzia statunitense per l’aiuto economico e umanitario nel mondo, la Usaid, in quanto la ”United States Agency for International Development”, come era stato detto, ‘promuoveva piani per destabilizzare il capo dello Stato”.  Non solo, Juan Ramon Quintana, direttore dell’Agenzia per lo sviluppo delle micro regioni, aveva dichiarato il 24 agosto scorso che “il governo ha espresso il proprio ”malcontento” all’ambasciata Usa per i presunti contatti telefonici di un suo funzionario (della Usaid, ndr.) con i leader di un gruppo di indigeni che hanno iniziato una marcia di protesta contro la realizzazione di una strada nella zona amazzonica in cui vivono”, cosa che fa più che sospettare la longa manus degli USA dietro gli incidenti di Yucumo di domenica scorsa.

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