Brasile. Fuoriuscita di petrolio provoca un disastro ambientale

di Alberto Galvi

Le autorità brasiliane stanno indagando sulle conseguenze del disastro ambientale che ha colpito il Brasile circa un mese fa, poiché il petrolio si è diffuso in almeno 187 spiagge, in 9 stati e per 2 mila chilometri di costa che compongono la regione nord-orientale: Maranhao, Piauí, Ceará, Rio Grande do Norte, Paraíba, Pernambuco, Alagoas, Sergipe e Bahia.
Il presidente brasiliano Jair Bolsonaro, ha ripetutamente criticato il lavoro dei gruppi di attivisti non governativi, e ha ridotto il budget delle agenzie ambientali, tra cui l’IBAMA (Instituto Brasileño de Medio Ambiente). L’agenzia ha affermato che nelle spiagge lungo una costa di 2mila chilometri nella parte nord-orientale del Brasile, opera con 74 funzionari, 10 veicoli, 2 elicotteri e 1 aereo.
Nelle ultime settimane anche molti volontari hanno lavorato per rimuovere il petrolio dalle spiagge contaminate senza attrezzature adeguate, senza istruzioni da parte delle autorità. I volontari e i lavoratori delle diverse agenzie hanno lavato gli uccelli e le tartarughe marine ricoperti di petrolio.
Lo Stato di Bahia ha decretato nei giorni scorsi lo stato di emergenza ambientale. A rischio dopo il versamento in mare di petrolio, il Progetto Tamar nella regione di Bahia, dove è stata creata un’area in cui si sono stati concentrati numerosi nidi di tartarughe.
Dopo aver analizzato le navi che attraversavano la regione, la Marina brasiliana ha iniziato a controllare 30 petroliere di 10 paesi diversi. Per effettuare i pattugliamenti in mare sono stati utilizzati circa 1.600 uomini, oltre a 5 navi e 1 aereo, che monitorano l’evoluzione di questa catastrofe ambientale.
La misurazione di questo disastro ambientale è molto difficile. Il petrolio è inizialmente rimasto in superficie, rendendo impossibile il suo rilevamento fino a quando non ha raggiunto la spiaggia, anche utilizzando le immagini satellitari. Tra volontari e professionisti sono stati raccolte, fino a questo momento circa 200 tonnellate di rifiuti di petrolio greggio.
L’agenzia IBAMA ha confermato che l’origine del petrolio è venezuelano. La produzione petrolifera venezuelana è crollata negli ultimi anni a causa di una cattiva gestione e di investimenti insufficienti. Inoltre le sanzioni statunitensi contro il PDVSA (Petróleos de Venezuela, S.A.), hanno fatto diminuire le esportazioni petrolifere venezuelane.
L’origine della fuoriuscita del petrolio è rimasta però un mistero, perchè non è ancora possibile sapere come o da chi sia stato versato. L’ipotesi principale delle autorità è che il greggio sia stato riversato nell’acqua da una barca, che navigava davanti alle coste del Brasile. L’azienda petrolifera statale brasiliana Petrobras, per arginare questo disastro ambientale, sta impiegando quasi 1.700 agenti ambientali e oltre 50 lavoratori.
Tra le prime ipotesi sulle cause della fuoriuscita del petrolio c’era quella della perdita verificatasi ad agosto presso la raffineria di Abreu e Lima a Pernambuco. Questa ipotesi è stata ormai definitivamente archiviata, in quanto le correnti non potevano aver trasportato il petrolio da lì fino alla costa nord-orientale del paese.
I danni sono stati abbastanza seri per la fauna marina di quell’area. La stagione riproduttiva per molte specie è iniziata a settembre, e quindi il pericolo di estinzione per questi animali è solo potenziale. I danni provocati dalla fuoriuscita di petrolio hanno colpito anche la flora, con l’inquinamento della barriera corallina nella parte nord-orientale della costa basiliana.
Dall’inizio dell’anno, il presidente brasiliano Bolsonaro, è stato oggetto di pesanti critiche per la sua scarsa politica ambientale, che lo hanno portato a dover rispondere a diverse critiche da parte di molti leader della comunità internazionale.
Le critiche al presidente brasiliano e al suo Governo non sono mancate neanche in questa occasione, in quanto sta impiegando troppo tempo a intervenire per scoprire i responsabili di questo nuovo disastro ambientale, dopo quello precedente degli incendi in Amazzonia, per fargli pagare i danni da essi provocati alle cose, all’ambiente, agli animali e all’uomo.