di Alberto Galvi –
L’ex presidente del Brasile Luiz Inacio Lula da Silva del partito PT (Partido dos Trabalhadores) ha promesso agli indigeni che in caso di vittoria alle presidenziali fermerà l’estrazione illegale di materie prime nelle loro riserve e riconoscerà le loro rivendicazioni sulla terra.
Le occupazioni delle terre indigene protette sono state legalizzate dal governo Bolsonaro, cosa che ha permesso ai minatori illegali di invadere le riserve distruggendo foreste e inquinando fiumi. L’estrazione è cresciuta poiché i prezzi elevati dei minerali preziosi e il tacito sostegno del presidente in carica hanno innescato una corsa all’oro, portando malattie, violenza e violazioni dei diritti.
Lula ha così mostrato la sua contrarietà alle iniziative promosse dal governo: Bolsonaro aveva affermato nel 2018 di non riconoscere un solo centimetro di terra di riserva indigena, guadagnandosi il sostegno della potente lobby agricola brasiliana, e ha liberalizzato lo sfruttamento dei minerali in Amazzonia rendendo più flessibile la sorveglianza ambientale. A poco o a nulla sono servite le proteste unitarie di più di 200 tribù indigene, rappresentate al Congresso solo da Joenia Wapichana, unica rappresentante indigena donna del paese. Alle prossime elezioni ci sarà un aumento dei candidati indigeni per cercare di garantire una rappresentanza legislativa più forte.
In vista delle elezioni del 2 ottobre Bolsonaro è per il momento dietro a Lula nei sondaggi. Se sarà eletto ad ottobre l’ex presidente Luiz Inácio Lula da Silva, che ha già guidato il paese per due mandati (dal 2003 al 2010) vorrà modificare le decisioni prese durante l’amministrazione di Jair Bolsonaro. I leader indigeni tra le altre cose hanno chiesto a Lula di ricostruire l’agenzia governativa FUNAI (Fundação Nacional do Índio), che ha subito tagli ai fondi e al personale sotto Bolsonaro.