Brasile. Tangenti Petrobras, Lula condannato a 9 anni

di Guido Keller

L’ex presidente brasiliano Luiz Inacio Lula da Silva è stato condannato a 9 anni e sei mesi di reclusione dal tribunale di Curtiba per corruzione in merito all’affaire Petrobras, la compagnia di Stato brasiliana del petrolio. Nella fattispecie Lula, che è stato presidente dal 2003 e al 2010, è stato trovato colpevole di essersi intascato una tangente di complessivamente 1,2 milioni di dollari dall’azienda di costruzioni Oas, denaro poi usato per la costruzione di una villa a tre piani nella città costiera di Guaruja. Con la firma di Lula la Oas ha ottenuto contratti dalla compagnia petrolifera Petrobras.
Per salvare Lula dal processo, la ex presidente brasiliana Dilma Rousseff aveva tentato di nominare il suo predecessore ministro della Casa Civil (capo di Gabinetto, durato 1 giorno) e quindi di fargli avere l’immunità, ma poi nello stesso scandalo era rimasta impigliata lei stessa anche perché i dialoghi erano intercettati. L’iniziativa, poi sospesa dal giudice federale Itagiba Catta Preta Neto, era costata alla Rousseff una denuncia per intralcio alla giustizia.
Rousseff poi era stata accusata di aver truccato i conti dello Stato al fine di far vedere in campagna elettorale un andamento dell’economia che non c’era, per cui era stata processata e dimessa dal suo incarico.
Già in settembre Lula era stato individuato dal pubblico ministero federale Sergio Moro quale numero uno della tangentopoli del paese latinoamericano, “il grande generale che comandò la realizzazione e la pratica dei reati, oltre a coordinarne il funzionamento ed eventualmente deciderne la paralisi”. Precisando che Lula era stato accusato in base a “reati specifici” e non per il suo ruolo presidenziale, Moro aveva affermato che gli esecutivi di Lula erano stati “governi della tangentocrazia”.
Tra le eprsone sul banco degli imputati vi sono stati l’ex numero uno di Btg, André Esteves, l’ex avvocato di Amaral, Edson Ribeiro, l’imprenditore José Carlos Bumlai (amico personale di Lula) e suo figlio, Mauricio Bumlai.
A far scattare l’inchiesta era stato l’ex senatore del Pt Delcidio Amaral, il quale aveva accusato sia Lula che Rousseff di aver cercato, insieme agli altri, di comprare il silenzio dell’ex direttore della Petrobras Nestor Cerverò, che ha confessato e che si è messo a collaborare con gli inquirenti.
Amaral, stando a quanto appurato, avrebbe a suo tempo cercato di convincere Cerverò a non collaborare con la giustizia, offrendogli anche una via per uscire dal carcere. Il dialogo era stato tuttavia registrato dal figlio del direttore della Petrobras, e nella registrazione Amaral aveva detto di agire per conto di Lula, ancora molto influente nel panorama politico brasiliano, e di Rousseff.
Con la condanna di oggi è stato anche imposta a Lula l’interdizione dai pubblici uffici per 19 anni, cosa che manda all’aria il suo piano di ricandidarsi in vista delle elezioni presidenziali del 2018; inoltre sarà tenuto a pagare una multa di 205mila dollari.
Scontato il ricorso in appello dell’ex leader del Partito dei Lavoratori, ma il danno al paese è prima di tutto politico, non solo economico: da quanto è stato appurato, nel 2014 le imprese hanno pagato più di 2 miliardi di dollari in tangenti per firmare appalti con il colosso energetico Petrobras e ottenere progetti, i cui costi in seguito sono stati gonfiati e sono ricaduti sulla popolazione, già costretta a grossi sacrifici.