Brevettiamo le parole: riflessioni sul razzismo

di Giovanni Caruselli

Il tema del razzismo è tornato tristemente d’attualità in Europa e in America per via della crescente pressione migratoria e dei problemi di convivenza fra culture diverse che essa ha portato con sé. Qualche riflessione in merito può essere utile. Non c’è bisogno di risalire agli albori della civiltà occidentale per scoprire che qualche forma di razzismo nella sua accezione più ampia è sempre esistita. I greci definivano barbari coloro che non parlavano la loro lingua e affibbiarono al re macedone Filippo II, padre di Alessandro Magno, l’appellativo di Filippo il Barbaro. Preferiamo occuparci dell’epoca moderna e contemporanea per rintracciare le prime ideologie in cui venne promossa, teorizzata, e accettata in una certa misura, l’esistenza di razze umane e una loro graduatoria di importanza.
Fu per primo il francese Arthur de Gobineau (1816 – 1882) a sostenere nel suo ponderoso “Saggio sull’ineguaglianza delle razze umane” ciò che il titolo dell’opera enuncia sinteticamente. Fu apprezzato nella sua epoca, ma nulla di scientifico si poteva leggere in quel testo. E per la verità il tono autoironico che percorre la sua opera, soprattutto nell’ultimo volume, ci fa pensare che neanche lui si prendesse troppo sul serio. Potremmo considerare suo discepolo Houston Stewart Chamberlain (1855 – 1927), inglese naturalizzato tedesco e marito della figlia di Richard Wagner. Il suo saggio, “Le origini del XIX secolo”, aveva come tema centrale la preoccupazione di preservare il sangue germanico dall’influenza dell’ebraismo e del cattolicesimo. A differenza di Gobineau, molto attento ai tratti somatici dei diversi ceppi etnici, Chamberlain descriveva le razze sulla base dei differenti atteggiamenti psicologici e comportamentali, ovviamente ritenuti immodificabili, che esse mettono in atto e che si trasmettono da una generazione all’altra. Considerava disastrosa la mescolanza fra le razze e riteneva fondamentale per tutti avere consapevolezza dell’appartenenza alla propria razza. Per Chamberlain le indagini scientifiche non hanno alcuna importanza, perché la differenza fra le razze umane è evidente di per sé.
Chamberlain condivideva con Gobineau l’idea della decadenza dell’Europa causata dalla mescolanza delle razze. Ma pensava anche che si potesse recuperare la “purezza del sangue” con accorgimenti adeguati, facendo un uso decisamente fantasioso dei principi evoluzionistici. Tutti sappiamo con quale folle radicalità il nazismo tedesco passò dalle teorie ai fatti, quindi non serve ricordare ciò che avvenne durante la seconda guerra mondiale.
Oggi spesso si torna a parlare di razzismo con una certa superficialità con riferimento alla lotta all’immigrazione irregolare. Chiunque nei Paesi più avanzati sottolinei le difficoltà di una convivenza difficile con ceppi etnici africani e asiatici viene facilmente etichettato come razzista. È un grave errore perchè si polarizzano scorrettamente e pericolosamente posizioni opposte rispetto al problema. Prima di tutto bisogna prendere le distanze dagli aspetti teorici del razzismo, che alla luce della scienza moderna, non hanno nessuna credibilità. A meno che non si voglia considerale la diversa densità minerale ossea dei neri come un fattore di identità razziale. In secondo luogo bisogna capire che mentre qualunque ideologia può essere descritta senza fare riferimento alla teoria delle razze, ciò è impossibile nel caso del nazismo che si basò fondamentalmente su di essa.
Ciò che oggi si confonde spesso con il razzismo è il sentimento di disagio percepito nella convivenza con persone di diversa mentalità, soprattutto se talvolta si mostrano restie ad accettare i principi base della civiltà in cui sono stati costretti a ricostruire la propria esistenza. A ciò si aggiunge il fattore divisivo della diversità religiosa che comporta differenti convinzioni in ambito civile e sociale. Ci spieghiamo con un esempio.
L’occidente ha ormai accettato da secoli il principio della libertà d’espressione, che comporta ovviamente il diritto alla critica, sia nella sfera laica che religiosa. Giudicare tale principio illegittimo nell’ambito religioso, come avviene in stati tendenzialmente o totalmente teocratici, significa pretendere che la popolazione ospitante si adegui in una materia tanto delicata e rilevante alla mentalità della popolazione che viene ospitata. Se poi, nel clima di polarizzazione culturale e religiosa che viviamo, tutto ciò si accompagna a episodi di violenza sanguinaria, seppure non frequenti, è comprensibile il rifiuto o almeno l’ostilità alle politiche di apertura all’immigrazione. Di tale ostilità si fanno alfieri i partiti di estrema destra che appaiono molto più realisti di una sinistra che non ha una posizione precisa in materia. La speculazione politica è sempre pronta, poi, a inventare complotti occulti come quello dell’immigrazione come strumento di una “grande sostituzione” della popolazione europea. Sarebbe molto più semplice pensare che gli europei fanno sempre meno figli perché i loro governi hanno palesemente trascurato le esigenze relative alla formazione delle nuove famiglie, pensando solamente alla crescita del Pil. Ma è molto più comodo attribuire la responsabilità di quello che potrebbe accadere agli immigrati e ai loro figli che hanno record di natalità piuttosto alti. Accettare il fatto che su quasi otto miliardi di esseri umani che popolano il pianeta solo poco più di cinquecento milioni sono europei, è veramente dura.
Noi pensiamo che il diritto d’asilo, che di per se stesso è un principio di civiltà giuridica, aveva un’applicazione priva di conseguenze negative quando era utilizzato da singoli individui in fuga da dittature o da regimi violenti e corrotti. Ma nel tempo delle migrazioni di massa, com’è l’attuale, tale principio dovrebbe essere riscritto in maniera molto articolata, tenendo conto di una quantità di fattori di realtà che vanno rispettati. Ed è certo che questa revisione dovrà essere fatta senza furori ideologici e da leadership politiche responsabili, piuttosto che da leader populisti costretti a mantenere promesse fatte durante le campagne elettorali per ottenere il voto popolare. Da questo punto di vista l’Europa sta mostrando tutto il suo ritardo sul problema. Il mondo si trova ad affrontare un cambiamento epocale causato dalla impetuosa crescita demografica di vaste aree del pianeta nelle quali non si è avuto un corrispondente sviluppo economico che la fronteggiasse. Fino a quando le strumentalizzazioni politiche avranno la meglio sul cuore del problema, fino a quando non si realizzerà una reale unione di sforzi fra le maggiori potenze mondiali, come avviene ad esempio nell’esplorazione dello spazio, difficilmente il problema sarà risolto.