Cina. Svalutato lo yuan. Produttori dell’agroalimentare Usa in ginocchio

di Enrico Oliari

Le tensioni sui dazi stanno portando la Cina a dare una risposta a quanto pare inaspettata per il governo Usa: lo yuan nei giorni scorsi ha subito una svalutazione che lo ha portato ai minimi degli ultimi 11 anni, cosa che ne favorisce le esportazioni compensando in parte i danni subiti dall’introduzione dei dazi americani.
La reazione di Washington è stata quella di minacciare il ricorso al Fondo monetario internazionale con tanto di accusa di manipolazione artificiosa della moneta. Così dal Tesoro Usa si è appreso che “Il segretario al Tesoro Steven Mnuchin ha determinato oggi che la Cina manipola la sua valuta. In seguito a questa decisione, Mnuchin” si rapporterà con il Fmi per contrastare i vantaggi derivati dall’operazione messa in piedi da Pechino.
Tuttavia già ieri la Banca centrale cinese ha fissato lo yuan a 6,9683 dollari, scambiato sul mercato offshore a 7,1107 dollari, un dato al di sopra delle attese, ed il governatore della Banca centrale, Yi Gang, ha ribattuto che la Cina garantisce la “dovuta stabilità” alla moneta, senza impegnarsi in “svalutazioni competitive”. Il vicegovernatore Chen Yulu ha sottolineato che “La svalutazione dello yuan in agosto è stata decisa dal mercato e non ha nulla a che vedere con la manipolazione della valuta”.
Si tratta comunque di una svalutazione evidente, alla quale si unisce l’invito del presidente Xi Jinping alle aziende del suo paese di non acquistare i prodotti agroalimentari dagli Usa, cosa che di giorno in giorno sta pesando e non poco sui produttori americani.
L’invito di Xi sembra essere ascoltato e preoccupa, dal momento che secondo l’American Farm Bureau gli Usa hanno esportato in Cina nel 2018 9,1 miliardi di dollari di prodotti agricoli, contro i 19,5 miliardi di dollari del 2017.
Uno dei prodotti agroalimentari che gli Usa esportano più in Cina è la soia necessaria per nutrire i maiali, ma un’epidemia di febbre suina nel paese asiatico ha già ucciso 11 milioni di capi, ma con l’introduzione dei contro-dazi non c’è stata quella maggiore richiesta di carni che i produttori americani speravano per contrastare le perdite.
Gli agricoltori statunitensi sono già stati aiutati con sussidi pari a 28 miliardi di dollari in due anni, ma potrebbero essere insufficienti nel caso continuasse lo stop alle importazioni da parte cinese.